di Enrico Clementi
Riflessioni di fine stagione
Quando si chiude una stagione, non si chiude soltanto un ciclo agonistico. Si chiude un tempo di esperienze, relazioni, scoperte, momenti di frustrazione, gioie. E si apre, se si ha il coraggio o la volontà, ma anche l’opportunità di farlo, uno spazio di rielaborazione. Questo spazio – che non è solo mentale ma anche emotivo, corporeo, simbolico – rappresenta per me la vera palestra di apprendimento. È lì che nasce il desiderio di scrivere. Per lasciare sedimentare, e poi tornare a partire.
Il filo che ha legato questa stagione – nelle attività di coaching come negli articoli – è stato uno solo, anche se ha preso molte forme: il contesto. Inteso non come semplice sfondo, ma come dispositivo attivo, come maestro invisibile che orienta apprendimenti, relazioni, performance. Il contesto è ciò che mette in risonanza, che facilita o frena, che permette l’emergere del possibile o che lo inibisce.
E se c’è una cosa che questa stagione mi ha restituito con chiarezza, è che non si può allenare bene senza prima imparare a leggere il contesto.
Il gesto, il rischio, la presenza
Ho parlato spesso di gesto tecnico, ma mai isolandolo. Un gesto è sempre situato: dipende dalla neve, dalla luce, dal tracciato, dai materiali, ma anche dal vissuto dell’atleta, dal suo livello di stanchezza, dal clima relazionale che si respira, dalle aspettative proprie e altrui, dalla comunicazione. In un post ho scritto che l’atleta non è una macchina da regolare, ma un essere in divenire da accompagnare. Questo cambia tutto. Cambia il modo in cui correggo, il modo in cui guardo, il modo in cui taccio, sia come allenatore, genitore, mental coach.
In quest’ottica, anche il rischio non è solo un fattore da gestire, ma un’occasione di crescita. L’ho chiamato “rischio consapevole”: quella zona di apprendimento che si apre quando l’atleta è messo nelle condizioni di tentare, di provare, di sbagliare dentro un contesto sufficientemente sicuro e riconoscente. L’allenatore, qui, ha un ruolo chiave: non tanto dare risposte, ma generare domande potenti. E inoltre consigliare bene, orientare il proprio atleta e se vogliamo proteggerlo.
L’allenatore come traduttore
In altri articoli ho cercato di descrivere il mio ruolo non tanto come “trasmettitore” di conoscenze, quanto come generatore e traduttore o forse trasduttore. Un allenatore o un coach traducono contesti in occasioni di apprendimento, modulano risorse, convertono energie non necessariamente in modo attivo. Traducono obiettivi tecnici in immagini, sensazioni, analogie, piste d’apprendimento. Traducono fallimenti in feedback. Ma traducono anche l’atleta a se stesso, aiutandolo a diventare consapevole di ciò che sa senza sapere di saperlo.
L’atleta può bene non sapere di sapere una cosa, oppure può bene, per ragioni di vario genere (età anagrafica, inesperienza, stanchezza e stress accumulati, eccessiva voglia di fare e fare bene, di non deludere) non riuscire a proteggersi, a tutelare il proprio talento, la propria integrità fisica e mentale.
È in questa direzione che ho iniziato a parlare di meta-coaching: un approccio che riflette su sé stesso, che si interroga non solo sul cosa e come, ma anche sul perché. Perché sto dicendo questo? A chi serve davvero? È il momento giusto per farlo?
In fondo, si tratta sempre di una cosa sola: abitare il contesto, saperlo interpretare, evitare il luogo comune e il senso indotto.
La qualità del tempo
Questa stagione ho dedicato diversi spazi alla riflessione sul tempo. Non tanto il cronometro, ma il tempo dell’attenzione, il tempo della relazione, il tempo della comprensione. In una società che spinge a “fare tanto e in fretta”, che preme sull’acceleratore, ho sentito il bisogno di tornare a parlare di qualità dell’esperienza. Di tempo lento e profondo, che è poi il tempo in cui accadono davvero le trasformazioni.
Nel lavoro con i giovani – ma anche con gli atleti esperti o nel confronto con i tecnici – ho osservato che è nel tempo non immediatamente performante che si costruisce la vera base: quella motivazionale, emotiva, relazionale. È lì che si lavora sul medio o sul lungo periodo, sulla sostenibilità del gesto tecnico, sulla resilienza, sulla passione; su quella creatività che è “divergenza” e allontanamento da ciò che è ordinario e corrente (il termine divertimento attinge a questa etimologia).
E vi si lavora spesso “per sottrazione” e non necessariamente in modo attivo o positivo, ma negativo – si parla infatti di capacità negativa – e sviluppando quelle abilità che contrastano il bisogno compulsivo di intervenire su ogni problema, applicando da subito un atteggiamento improntato alla soluzione.
Un futuro situato
Mentre chiudo la stagione, mi porto dietro domande esplicite e altre latenti. Come costruire contesti sempre più evoluti? Come valorizzare il background conoscitivo, le professionalità, evitando però posizioni difensive e chiusure? Come progettare esperienze di allenamento che siano ecologiche nel senso più pieno del termine – rispettose dell’ambiente, del corpo, della mente? Come rafforzare la compliance tra coach e atleta, tra allenatori, organizzazioni e famiglie, affinché ogni gesto diventi non solo efficace, ma anche significativo? In questi mesi, attraverso il mio Ski blog, ho cercato di aprire piste – teoriche e pratiche – che andassero in questa direzione. Chi volesse rileggere i passaggi principali può orientarsi ai link:
- Pagina 1: https://enricoclementi.it/skiblog/page/1/
- Pagina 2: https://enricoclementi.it/skiblog/page/2/
Grazie e arrivederci… sulla neve (e oltre)
Un ringraziamento sincero a Claudio Ravetto, amico e costante fonte di informazioni e confronto.
E un grazie speciale agli atleti, ai tecnici e alle organizzazioni che mi hanno coinvolto nei loro progetti e percorsi, alle quali spero di avere restituito quanto certamente ho ricevuto, in termini di visione, motivazione, stimoli per le attività di studio e ricerca.
Anche se la stagione agonistica si è conclusa, il lavoro continua: per molti atleti e team è già tempo di test materiali, di analisi e ripartenze sui ghiacciai, di prime basi per la preparazione estiva e autunnale.
Da parte mia, pur con una presenza più irregolare, continuerò a elaborare e condividere contenuti d’interesse, cercando come sempre di offrire spunti utili e pertinenti alle fasi che ci attendono.
Le piste cambiano volto, ma non il nostro impegno. Al prossimo articolo, ai successivi progetti, agli scambi con gli appassionati e i lettori, Enrico Clementi
Pubblicazioni al link e su Scimagazine
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