La formazione dei giovani nello sci alpino e all’interno degli sci club, è generalmente declinata per fasce di lavoro e con finalità che vanno dalla crescita in prospettiva “alto livello”, a una dimensione più ludica e ricreativa, volta comunque allo sviluppo delle abilità motorie e cognitive.
La crescita in prospettiva alto livello, a partire dalla categoria Children, prevede una maggiore intensità di lavoro (mediamente 40/50 giornate di sci estivo e autunnale e altrettante d’atletica e 60/70 giornate invernali), un miglioramento delle competenze tecniche in situazioni difficili, una migliore gestione dei carichi di lavoro e delle pressioni, ovvero un percorso atletico e cognitivo insieme.
Possiamo dire, utilizzando il linguaggio del modello di riferimento federale (S.A.L.T. https://irp-cdn.multiscreensite.com/01dd666d/files/uploaded/MODELLO_SALT-LINEE%20GUIDA-2018.pdf) che in questa fase i giovani sono stimolati a compiere un passaggio critico, che è quello dall’imparare ad allenarsi (cat. Cuccioli), all’allenarsi all’allenamento, ossia a sviluppare una cultura dell’allenamento.
Rimane comunque ferma, nel passaggio di categoria, la finalità di allenare i ragazzi all’aspetto competitivo, aspetto che caratterizza l’attività sportiva agonistica e costituisce l’asse portante del passaggio successivo, quello alla categoria Aspiranti/Giovani.
Ci si allena quindi a competere (non tutti siamo strutturalmente competitivi), ma ci si allena anche all’allenamento, così come ci si allena ad essere performanti, a consolidare i propri risultati, a “trovare continuità” e a vincere.
Il ragionamento, così strutturato, è lineare e corretto: ci si allena a… A questo serve l’enorme lavoro dei giovani, dei tecnici e a questo serve il supporto delle famiglie; semmai, ad essere discriminanti sono il come allenarsi e il quando, in quali momenti critici dello sviluppo.
Definire come si perseguono determinati obiettivi (allenarsi all’allenamento, allenarsi a competere, allenarsi a vincere) è compito dei tecnici, così come spetta a loro definire quando incrementare o decrementare in termini d’intensità e carichi di lavoro: ci sono domande che riguardano l’alto livello e la tutela del talento alle quali non è sufficiente fornire una risposta standardizzata (come quella del S.A.L.T., che pure apprezziamo) e alle quali tenteremo, prossimamente, di fornire risposta.
Queste domande sono: su chi investire per l’alto livello? Perché? Sulla base di quali indicatori? In quali fasi nevralgiche dello sviluppo? Tenendo conto di quali variabili?
Ne cito alcune: le differenze prestative in relazione al genere, all’età e alla disciplina; l’età nella quale avviene la prestazione di picco (Peak Performance) in relazione al genere, ma anche alla disciplina; la presenza e l’effetto dell’età relativa, o RAE (Relative Age Effect), in relazione alle discipline.
Per cui non è sufficiente un riferimento generico all’alto livello, con programmi che investono molto sul numero di giornate e sull’affinamento delle abilità tecniche, se non si tiene conto del fatto che la ricerca del talento è un fenomeno complesso, sovente frainteso, senza prove di ricerca certe, in modo particolare in uno sport ricco di variabili e incognite come lo sci alpino
C’è poi la dimensione cognitiva da allenare, ossia la capacità del giovane di raccogliere informazioni dall’ambiente circostante, di analizzarle, di valutarle, al fine di produrre risposte comportamentali funzionali al contesto e alle caratteristiche dello sport praticato.
L’elaborazione delle informazioni, almeno secondo una certa prospettiva, diventa la base sulla quale viene strutturato il comportamento, ed è la base, quindi, della crescita personale e agonistica del giovane atleta.
Queste informazioni comprendono vissuti emotivi che pure, in prospettiva integrata, influiscono fortemente sui processi d’apprendimento e sul comportamento sociale.
Rabbia, aspettative, fiducia, percezione di sé, accettazione, noia, distrazione ecc. sono emozioni che i nostri giovani vivono, e vivono intensamente come agonisti.
Lo sci alpino, a qualsiasi livello (così come altri ambiti della vita), implica la capacità d’apprendere, e implica inoltre la capacità di esprimere quanto appreso, cioè a dire di mostrare o di dimostrare le abilità in oggetto.
Non ci si allena a competere, se non si ha una buona percezione di sé (autostima), se il modo di ragionare le cose e di raccontarle, a sé e agli altri, non è evolutivo, se non si coltiva, nei momenti di difficoltà, una motivazione interna a risolvere, se non si fa esperienza del fatto che avere fiducia è – in qualche modo – ricominciare.
I nostri giovani, in specie se orientati all’alto livello, vanno accompagnati a rafforzare queste conoscenze, questo genere di autoconsapevolezza, con percorsi e attività di alfabetizzazione, che sono altra cosa dalla psicologia della prestazione e hanno finalità in parte propedeutica ad essa, ma anche eccedenti.
Se lo sci alpino, con le sue caratteristiche, certamente addestra ad essere resilienti, a risolvere i problemi, a gestire la frustrazione ecc. (un atleta che non sviluppa tali abilità non raggiunge l’alto livello, né lo sostiene a lungo), non educa ad integrare alcuni bisogni affettivi fondamentali e non educa a riconoscere, accogliere e integrare le fragilità.
La fragilità, in un ambiente agonistico e competitivo, è l’immagine della debolezza, dell’inconsistenza, della (pre)destinazione alla sconfitta; invece in un’educazione sportiva che ne tenga debitamente conto, in essa si celano valori di intuizione e lungimiranza, dignità e autodeterminazione, solidarietà e speranza, inquietudine e passione.
Non dobbiamo dimenticare che date le difficoltà e le incognite, in un percorso giovanile orientato all’alto livello sono da coniugare, appunto, necessariamente, aspettative e speranze deluse, proiezioni e realtà cogente, percezione positiva di sé e inefficacia, aderenza al compito e fallimento…
Troppo spesso i nostri giovani – da esperienza diretta – negano le loro fragilità e paure; anzi, ed è ancora più grave e delicato, tendono a rappresentarsi secondo standard di efficacia diffusi e socialmente dominanti.
Ci sono emozioni forti ed emozioni deboli, virtù forti e virtù deboli, e – come scrive Borla – sono fragili alcune delle emozioni più significative della vita. A noi adulti esplorarle, nominarle, valorizzarle e integrarle, pedagogicamente, anche là dove ad essere dominante è una retorica di segno opposto, che nella migliore delle ipotesi costruisce degli atleti vincenti, ma che sottopone i giovani all’incompletezza affettiva, relazionale, umana, esponendoli a rischi (come nel caso di molti atleti professionisti) di disagio e instabilità futura.
Enrico Clementi – Educatore, formatore e trainer educativo Contatti