di Enrico Clementi
1. Introduzione
Nel linguaggio comune la prestazione nello sci alpino viene spesso associata esclusivamente al risultato: il tempo, la posizione in classifica, la qualifica, il confronto con gli avversari. Tuttavia, una visione più ampia della prestazione la considera non solo come un dato misurabile, ma come un processo complesso che coinvolge abilità tecniche, cognitive ed emotive.
Questo articolo intende esplorare la prestazione sportiva non come un semplice esito, ma come una competenza trasversale, un dispositivo di apprendimento attraverso cui l’atleta testa, adatta e rielabora conoscenze acquisite su sé e i diversi contesti.
2. La prestazione come competenza
Considerare la prestazione come una competenza significa riconoscerla come una soft skill, una capacità trasversale che va oltre l’esecuzione tecnica. Nell’ottica dell’apprendimento, la prestazione non è solo il risultato finale di un gesto atletico, ma una funzione regolativa che permette di affinare capacità, valutare strategie, gestire l’imprevisto.
Lo sci alpino, in particolare, è uno sport in cui la variabilità delle condizioni ambientali e la necessità di un adattamento costante rendono evidente il ruolo della prestazione come manifestazione di intelligenza situata. In questo senso un approccio tecnico non strettamente analitico e un equilibrio tra metodologie diverse è fondamentale per facilitare l’emergere, nell’atleta, di abilità non solo esecutive, ma generative.
Dal punto di vista formativo, la prestazione implica tre dimensioni fondamentali: la preparazione (il processo di apprendimento e consolidamento delle abilità), l’esecuzione (l’atto performativo vero e proprio) e la riflessione post-prestativa (il feedback, l’analisi dell’esperienza). In questa prospettiva, la prestazione diventa un atto conoscitivo, un ponte tra il sapere teorico e l’azione concreta.
3. La prestazione come test delle abilità acquisite
Nel contesto sportivo, la prestazione è spesso vista come una verifica del livello raggiunto, un banco di prova delle competenze costruite durante l’allenamento. Tuttavia, questo approccio, può essere limitante se riduce la prestazione a una valutazione rigida di successo o fallimento. In realtà, ogni prestazione è un processo dinamico in cui l’atleta confronta la propria capacità attuale con le richieste del compito, riceve un feedback immediato e ricalibra le proprie strategie.
Un aspetto cruciale è il confronto tra prestazione attesa e prestazione effettiva, che costituisce un’opportunità di apprendimento. La prestazione attesa o potenziale non è mai una prestazione astratta, ossia quello che l’atleta o gli altri immaginano egli possa fare in un tempo indeterminato, ma è sempre una prestazione potenziale attuale.
L’errore o l’insuccesso, in questo senso, non sono degli ostacoli ma informazioni preziose: indicano le aree di miglioramento e permettono un aumento o una rafforzamento continuo delle abilità, specifiche e trasversali. La capacità di elaborare l’errore e trasformarlo in crescita è una componente essenziale della competenza prestativa, che in questo senso va “esplosa” in una serie di altre competenze senza le quali non può essere espressa.
Si lavora quindi sull’acquisizione di queste competenze in qualche modo subordinate alla prestazione, pena la non esigibilità della prestazione stessa, o la sua episodicità. È questo uno dei motivi per i quali, anche nelle élite, la continuità – che è anch’essa una competenza – è tanto attesa, quanto sfuggente.
4. Dal rendimento sportivo alla prestazione come soft skill
L’idea di prestazione come competenza trova applicazione anche oltre il contesto sportivo. In ambiti come il lavoro, l’educazione e la vita quotidiana, la capacità di gestire una situazione sfidante, di adattarsi a variabili impreviste e di mantenere il focus sotto pressione sono abilità essenziali.
Nel mondo del lavoro, ad esempio, il rendimento non è solo questione di efficienza tecnica, ma anche di gestione dello stress, di capacità di auto-regolazione emotiva e di riflessione strategica. Analogamente, in un contesto educativo, la prestazione di uno studente non si misura solo con i voti, ma anche con la sua capacità di sviluppare metodi di studio efficaci, di gestire il tempo e di affrontare difficoltà in modo costruttivo. Non vediamo quindi perché nello sport agonistico in genere e nello sci alpino in particolare le cose debbano essere intese diversamente.
Non è il cronometro in sé a costituire un problema (né il format delle gare), ma il modo in cui questo strumento viene utilizzato nelle varie fasi di sviluppo dell’atleta, e su atleti con caratteristiche e tempi di sviluppo per nulla omogenei. Il cronometro è assoluto, incontrovertibile nelle categorie maggiori, ed è parziale e relativo, date una serie di variabile, biologiche ma non solo, nelle categorie giovanili.
5. Il rendimento come funzione d’apprendimento
Se la prestazione viene vista come un processo di apprendimento, essa assume un significato più ampio e pedagogico. Il concetto di learning by doing (“imparare facendo”) sottolinea l’importanza dell’esperienza diretta nella costruzione delle competenze: è attraverso l’azione, l’analisi, la riflessione che si sviluppano nuove abilità.
In questa prospettiva, la prestazione non è solo una dimostrazione di ciò che si sa fare, ma un’occasione per conoscere meglio le proprie capacità e per riformulare il proprio approccio. L’apprendimento situato, caratteristico dello sport, mostra come la conoscenza sia profondamente legata al contesto e come la prestazione sia un atto di esplorazione e scoperta.
Ridurre l’appartenenza a uno sci club o a un settore a non meglio definiti obiettivi di crescita, e vivere poi come atleti, genitori, allenatori, il calendario delle gare quasi come un pegno da pagare in termini di disagio e frustrazione, credo sia una cosa profondamente ingrata ma soprattutto concettualmente scorretta.
6. Conclusioni: verso un ampliamento degli obiettivi di risultato
Riconoscere la prestazione come funzione di apprendimento e come competenza trasversale porta a una riflessione sugli obiettivi che si attribuiscono al rendimento sportivo. Spesso si tende a valutare la prestazione in termini esclusivamente di risultato, trascurando il valore del processo che la genera.
Un approccio più ampio alla performance implica alcuni livelli di obiettivi, d’appresso indicati:
- Obiettivi di risultato, legati all’esito finale (es. tempo, posizione in classifica, qualificazione), che restano importanti ma, come abbiamo visto, non sono l’unico strumento di valutazione.
- Obiettivi di performance, relativi alla qualità dell’esecuzione e alla capacità di esprimere al meglio il proprio potenziale indipendentemente dal risultato, o in funzione di altre finalità tecniche, tattiche, atletiche, mentali.
- Obiettivi di processo, che riguardano gli aspetti strategici e metodologici, come la gestione della gara, l’attenzione agli elementi tecnici, la regolazione emotiva e la capacità di apprendere dall’esperienza.
- Obiettivi altri, che riguardano una crescita culturale sportiva dell’atleta, da intendere però in senso transdisciplinare, e capace di ricomprendere informazioni diverse ma complementari (prestative, nutrizionali, neurobiologiche, condizionali e altre)
Solo considerando questi quattro livelli in modo integrato e non gerarchico è possibile costruire un modello di prestazione che non sia solo orientato al risultato cronometrico, ma che favorisca la crescita continua dell’atleta creando prospettive, autonomie, intelligenze, visione. Questo approccio è fondamentale non solo nello sport, ma in ogni ambito in cui la prestazione gioca un ruolo chiave nel percorso di sviluppo individuale.
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