Quantità e Qualità nella Programmazione Agonistica dello Sci Alpino: Un Equilibrio Necessario

Quantità e Qualità nella Programmazione Agonistica dello Sci Alpino: Un Equilibrio Necessario

di Enrico Clementi

Quando si parla di programmazione agonistica nello sci alpino – ma non solo in esso, v. Bibliografia – i concetti di quantità e qualità rappresentano due poli fondamentali, spesso percepiti come opposti. In realtà, è più produttivo considerarli complementari, elementi di una dialettica che il tecnico e la dirigenza debbono saper orchestrare con attenzione, sia nello sport di base, che nelle fasi di transizione e nell’alto livello.

La quantità è imprescindibile, soprattutto in uno sport come lo sci alpino, dove il gesto tecnico – complesso e specifico – richiede una pratica costante.

Ogni giornata in pista è preziosa, poiché la ripetizione dei movimenti e il tempo effettivo sugli sci sono difficilmente replicabili con altre attività. Tuttavia, non si tratta solo di accumulare ore, anche se sappiamo che in una giornata di sci il tempo d’allenamento effettivamente quantificato risulta essere molto ridotto: è fondamentale sfruttare le “finestre di apprendimento” durante le fasi sensibili della crescita degli atleti.

Allenare intensamente alcune abilità in momenti strategici della loro evoluzione fisica e mentale può fare la differenza tra una formazione di base sufficiente, oppure eccellente e la possibilità di accedere con buone speranze di risultato – data la molteplicità di variabili – all’alto livello.

Qualità: dalla ripetizione all’eccellenza

Se la quantità e la differenziazione pongono le basi necessarie per accedere all’alto livello, la qualità rappresenta non solo l’affinamento del gesto tecnico, ma anche l’approccio che permette di rispecchiare altre variabili.

Un lavoro di qualità implica attenzione al grado di evoluzione dell’atleta, allo stato d’allenamento e di forma fisica e mentale, ad altre specifiche intervenienti (ad esempio infortuni subiti), adattando i carichi di lavoro alle condizioni e alla categoria.

Gli atleti più giovani, ad esempio, possono sostenere numerose ripetizioni senza apparentemente accusare cali di rendimento, mentre per quelli già maturi dopo 5/6 passaggi tra i pali iniziano ad essere evidenti dei cali prestazionali. Il che non significa, come evidente, che siano meno allenati, ma che l’intensità e il dispendio energetico sono maggiori, sia sul piano fisico che mentale.

L’allenatore deve quindi bilanciare gli stimoli quantitativi con quelli qualitativi, valutando costantemente i dati raccolti sul campo (uso delle App o di altri applicativi o strumenti): dal numero di giri, al livello di affaticamento percepito.

È cruciale che i passaggi non siano solo eseguiti, ma svolti in condizioni di forma ottimali dall’atleta, in modo che ogni ripetizione contribuisca a un miglioramento concreto, ma sia svolto anche “in sicurezza”, evitando rischi inutili.

L’importanza dei dati

Un elemento spesso trascurato nella programmazione è la raccolta e l’analisi dei dati. Non si tratta solo di un approccio scientifico, ma di uno strumento pratico per porsi domande adeguate.

Quanti giri sono stati eseguiti? Qual è stato il livello di fatica percepito dagli atleti? Come hanno influito fattori esterni come il meteo, o i materiali utilizzati? Come hanno risposto i materiali o il setup a determinate condizioni ambientali? ecc.

La capacità di leggere questi numeri, ma soprattutto di relazionarli fra loro in modo significativo, è ciò che distingue un programma generico da uno realmente efficace, o comunque supportato da evidenze. Non capiamo infatti come sia possibile una programmazione non supportata da dati, ancorché ritenere la programmazione non uno strumento da seguire in modo rigido, ma orientativo e flessibile, che si bilancia al superiore interesse e alla tutela della persona-atleta.

Il fatto che la rilevazione e la lettura dei dati richieda risorse dedicate e competenze, non esime sci club, dirigenti o allenatori dall’investire in questa importante risorsa, che non è accessoria al lavoro sul campo, ma lo rende intelligibile e lo qualifica.

Cultura del team e processi di delega

Un altro aspetto cruciale è il contesto culturale in cui l’atleta si sviluppa. Lavorare in un team offre benefici non solo tecnici, ma anche etici ed educativi: lo sviluppo di competenze cooperative (Cooperative Learning) e la consapevolezza di restituire al gruppo quanto ricevuto in termini di apprendimenti, sono elementi che contribuiscono alla maturità dell’atleta.

Non neghiamo il valore, per l’alto livello, dei team privati, ma relativizziamo tale valore in funzione del fatto che lo sci alpino è uno sport individuale, ma non individualistico, e che le dinamiche di gruppo o di squadra possono contribuire sotto altri aspetti all’evoluzione dell’atleta e al risultato.

Nel contesto del team, la figura del genitore-allenatore (molto frequente) può rappresentare una sfida significativa e insegnare molto.

Quando il ruolo genitoriale prevale su quello tecnico, come ad esempio in caso di infortunio, possono emergere criticità che richiedono un chiaro processo di delega ad altri membri dello staff. L’evoluzione dell’atleta necessita infatti di apporti e confronti esterni, per sviluppare una visione più ampia e consolidare la propria crescita sia tecnica che personale.

Mettere “la persona al centro” significa anche riconoscere l’unicità di ogni atleta, il suo talento e la sua personalità. Questo approccio implica di considerare non solo le capacità tecniche, ma anche la predisposizione dell’atleta a interiorizzare e verbalizzare il proprio percorso (metacognizione), condividendo esperienze e progressi con l’ambiente prossimo o il settore.

Conclusioni: coltivare consapevolezza

In ultima analisi, il tecnico e ancora di più il DT deve saper rispondere, sia a se stesso che agli atleti, alla domanda: “Perché?”. Ogni decisione, che riguardi la quantità o la qualità, deve essere motivata, basata sull’esperienza e supportata dai dati. Solo così è possibile costruire un programma che non sia una semplice somma di attività o “giornate”, come si dice in gergo, ma un percorso verso la crescita globale dell’atleta.

A questo stesso “perché”, reale o fittizio che sia, il tecnico deve saper rispondere anche in termini di criteri di programmazione e metodologia, nonché di pratiche e scelte tecniche. Questo perché nello sci alpino non esiste un modello tecnico univoco, ma infinite strategie tecniche che variano in base a situazioni specifiche.

Tali situazioni includono variabili ambientali, attrezzature, caratteristiche dell’atleta, abilità ed esperienza acquisite, stato di forma attuale e molte altre condizioni che rientrano nel fattore strategico comunemente definito “tecnica”.

La tecnica, in questo senso, è intesa come quell’insieme complesso di abilità motorie specifiche, competenze mentali, disposizioni caratteriali e aspetti anche biochimici che consentono di eseguire gesti o movimenti in modo efficace, efficiente e coordinato, in relazione agli obiettivi del contesto sportivo.

Articolo correlato “Sci alpino e apprendimenti: dall’approccio esecutivo al modello interpretativo”

per attività di collabarazione, di coaching prestativo e formative v. alla pagina Contatti

Bibliografia

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    Esamina come l’apprendimento motorio richieda un equilibrio tra ripetizioni (quantità) e precisione (qualità) per consolidare le competenze.
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