“Mi sembra che nella mia vita le cose non vadano per il verso giusto…” Perché un educatore?

Stress, conflitti, disagio emotivo, insuccessi affettivi, scolastici, professionali… Il profilo professionale dell’educatore: una panoramica.

Nell’attuale quadro di riferimento l’educatore professionale (laurea L 19) lavora, in modo prevelente, nell’ambito del disagio sociale: disabilità, disagio psichico, tutela minorile, violenza di genere, progetti in ambito carcerario, di prevenzione e inclusione sociale, scolastici, ecc.

Questo professionista, ancora poco noto e valorizzato al di fuori del settore sociale in senso stretto (Servizi Sociali comunali, ASL, altri enti pubblici o privati), è invece una figura chiave nel quadro storico attuale, dove ad emergere sono bisogni e domande di tipo esistenziale.

In questo quadro il target di riferimento sono i cittadini tutti e quegli individui che vivono in una condizione di così detta “normalità”; che, secondo Allport, sarebbe la capacità personale di pianificare l’esistenza procedendo con determinazione e sicurezza in una precisa direzione, senza influenze di altro tipo o errori di realizzazione.

Ad essere oggi in discussione è proprio questa capacità e la nozione stessa di “normalità”, essendo prevalenti inquitudini e tensioni soggettive che mettono a repentaglio la società stessa nelle sue strutture costituenti: famiglia, valori, moralità, scuola, religione, politica, impegno e tenuta professionale (lavoro), ecc.

In che modo l’educatore può rispondere a queste tensioni collettive, a queste pressioni, interne ed esterne, che hanno a che fare con la realizzazione di sé, con la “ricerca di senso”, con il “saper divenire” e il mutare delle condizioni storiche?

Può farlo in vari modi, dato il suo eclettismo (la sua formazione è al crocevia di varie discipline: psicologia, sociologia, antropologia, pedagogia, filosofia…), che proveremo a sintetizzare in poche righe.

1. In primo luogo aiutando la persona a fare diversamente che problematizzare e/o subire i propri vissuti, per quanto articolati e complessi, recuperando solidità, chiarezza, centratura.

Non una solidità autoreferenziale e narcisistica, ma una solidità e chiarezza che potremmo definire “di lavoro”. Ovvero dinamica, sempre e nuovamente da riformulare e ricercare, e tale da permettere di dare alle cose il loro nome, la giusta collocazione; (ri)definendo priorità, risorse, obiettivi, azioni.

2. Il processo educativo è sempre, parallelamente, un processo formativo; dove la persona, nello scambio diretto con il professionista dell’educazione, acquisisce nozioni, strumenti, visione.

Conoscere, riconoscere in sé alcuni funzionamenti, registrare modi di essere e di fare, (ri)orientare strategie e pratiche, gli assiomi e gli step del lavoro da compiere.

Educazione e formazione sono parallele e la connotazione in qualche modo “tecnica” della formazione (ci si forma in genere in ambiente professionale e da adulti per acquisire ulteriori conoscenze, abilità, strumenti) è rilevante ben oltre quella istituzionale, tipica del lavoro educativo: non si dà società e crescita collettiva, in assenza di persone capaci, competenti a vari livelli.

3. Le problematiche di partenza, quindi, quelle che la persona intende risolvere e per le quali si rivolge all’educatore, per quanto rilevanti sono il pre-testo per un percorso di altra portata; che implica l’acquisizione di abilità strategiche, di strumenti di (auto)monitoraggio, verifica, progettazione di sé.

C’è una retorica delle emozioni che, seppure riconoscibile e valida (saremmo in errore se negassi le implicazioni emotive che qualificano le nostre attività ed esperienze), mette in ombra il versante intellettivo, logico.

Vi è un evidente circolo tra questi due piani di funzionamento (logico ed emotivo) ed è provato che approcciare un lavoro di crescita personale e di cambiamento dal versante emotivo, rischia di vedere la persona impantanata in se stessa, o nell’altro (proiezione) e nelle relazioni.

4. Concretamente allora, in cosa consiste il processo educativo?

Se si lavora con un educatore si lavoria “su quel che c’è”, su quel che “si vede”, cioè sulla relazione.

Si lavora inoltre su un “me” e su un “te” in contesto; cioè a dire sul qui ed ora della situazione concreta.

Quello che si cerca di fare – per usare un’immagine – è “un buon pasto”, con gli alimenti e gli ingredienti che ci sono!

È sensato, intelligente, dare il meglio di quello che si è o che si ha, piuttosto che voler dare (a sé stessi e agli altri) quelle cose bellissime che non si hanno!

5. Mi esprimo sovenete al plurale, in queste righe, perché l’educatore è partecipe del processo; il che significa che questa comune esperienza, si fonda sulla relazione e su un principio di educabilità reciproca: educatore e persona in formazione possono entrambi crescere e capire qualche cosa in più di loro stessi, dell’altro, del mondo.

Inoltre possono capire qualche cosa in più dei necessari limiti con i quali sono costantemente chiamati a confrontarsi e che, ancora una volta, riguardano loro stessi come singoli e nella relazione all’altro.

Come detto, non si negano in questa sede le implicazioni emotive dell’essere in relazione, ma si afferma che l’intelligenza è un’alleata affidabile per definire, in modo condiviso: il perché di un certo sforzo e di un certo impegno (aspetto motivazionale); il come questo sforzo sarà orientato (qualità degli apprendimenti); il quando del lavoro formativo (metodo).

Si utilizzano nel lavoro educativo vari canali d’intelligenza, osservando e studiando il “funzionamento” e il ruolo delle emozioni nel nostro modo di essere, di fare, di leggere e collocare le esperienze (l. “stili di attribuzione”).

Concludiamo con una sintesi, articolata come segue:

– l’approccio alle attività educative è di natura formativa, cioè a dire parzialmente estraneo a logiche quantitative di valutazione (approccio psicometrico).

A sua volta il lavoro educativo-formativo è caratterizzato da:

– natura relazionale dell’intervento,

– processualità e tempistiche (che implicano necessarie fasi di stallo e regressione),

– principio di educabilità (ci sono sempre margine e zone di adattamento e crescita personale),

– principio di contingenza (si opera nel qui ed ora della situazione concreta),

– intenzionalità manifesta e definizione negoziale di obiettivi e metodo (si programma e progetta insieme),

– utilizzo di canali d’intelligenza multipli e nulla affatto omogenei (rafforzamento delle abilità cognitive e metacognitive),

– orientamento al “cambiamento”, inteso come componente empirica del lavoro educativo.

Enrico Clementi – Educatore, Formatore, Consulente e Trainer educativo