La creatività è l’intelligenza che si diverte.
– A. Einstein
1.
In un precedente articolo sul rapporto tra formazione professionale nello sci alpino e rilevazione dei fabbisogni formativi – reperibile al link https://enricoclementi.it/lo-sviluppo-delle-professioni-nello-sci-alpino-tra-rilevazione-dei-bisogni-e-patto-formativo/ – concludevo indicando alcune linee di lavoro, senza le quali non è possibile pensare a un cambiamento diffuso e quindi a una crescita del sistema, da più parti evocata.
Tra queste linee, che definivano lo scambio, la relazione, il dialogo tra professionalità diverse come necessaria premessa alla programmazione e progettazione formativa, ve ne erano altre che riguardavano:
- l’allontanamento, almeno provvisorio, dalle convinzioni personali, al fine di aumentare la permeabilità del soggetto e le capacità ricettive (il maestro o l’aspirante maestro, l’allenatore, l’aspirante istruttore come soggetti portatori di un “bisogno educativo”);
- la riformulazione costante dei presupposti che rendono efficace la formazione, ossia una sorta di “azzeramento” delle conoscenze e competenze pregresse, al fine di ripensare i fondamenti della pratica (innovare);
- il trasferimento e la replicabilità di questa stessa ipotesi metodologica ai contesti da noi governati (scuole sci e staff, sci club, corso aspiranti, corso istruttori e altri), “normalizzando” la prassi e promuovendone la diffusione.
Credo che le recenti dinamiche occorse tra dirigenze federali, atleti, mondo della comunicazione, abbia ulteriormente evidenziato l’importanza di un cambio di passo e di prospettiva, a livello di sistema, che vede coinvolti base, vertice, anelli intermedi del sistema federale stesso.
Infatti, nel comunicato diffuso il 24 scorso, dove la FISI e il Presidente Roda “si scusano” con Marsaglia, si conclude dicendo che:
“L’incontro è terminato con l’intesa che provvedimenti concreti relativi al settore saranno assunti al termine della stagione.
Non si tratterà di provvedimenti necessariamente disciplinari [che pure vengono menzionati e ci sarebbe da capire non tanto il perché, ma quale il bisogno di rimarcare un potere, che sappiamo comunque essere soggetto a controllo e quindi non assoluto: Presidenza del Consiglio dei Ministri e CONI], ma piuttosto di un cambiamento di metodo, basato su comunicazione, programmazione a lungo termine, sostegno e cura dei giovani con strategie condivise tra le diverse squadre.” Cfr. https://www.scimagazine.it/la-fisi-e-il-presidente-flavio-roda-si-scusano-con-matteo-marsaglia/
2.
Almeno negli intenti del Presidente e – presumo – del Consiglio Federale, quindi, si prevede un cambio di registro nelle attività di programmazione “a lungo termine”, che implica, come si è letto, un cambiamento di tipo metodologico, finalizzato ad attività di “sostegno e cura dei giovani” e ad attività strategiche condivise tra le squadre.
Ricordiamo che parlare di “fabbisogni formativi”, come nel nostro caso, significa parlare della necessità di adeguare le competenze dei professionisti (o aspiranti tali) alle caratteristiche della struttura organizzativa e alle modalità di lavoro della stessa, in funzione delle esigenze di erogazione dei servizi, del mercato o di determinati scenari socio-economici.
Le dichiarazioni federali non sono molto distanti dal nostro ragionamento e le parole chiave sembrano essere tutte presenti; ancorché difettare sul piano della partecipazione ed essere poste in qualche modo “dall’alto”, senza la menzione di un reale coinvolgimento dei diretti interessati: tecnici, atleti professionisti e giovani.
È questo coinvolgimento quello al quale mi riferisco parlando di “rilevazione dei fabbisogni formativi”, ossia un coinvolgimento “dal basso”; senza il quale l’attività educativa o formativa, limitata a poche giornate l’anno per gli allenatori e assente nelle categorie giovanili, rimane un atto formale, assolutamente incapace di produrre un cambiamento di sistema.
Ho già proposto ad alcuni comitati, sia del centro sud che del nord, per portare un esempio di quello che intendo per partecipazione “dal basso”, un questionario di rilevazione finalizzato, nello specifico, a rilevare la percezione del “mentale” nelle categorie giovanili da parte di allenatori e dirigenti.
Il risultato, nei confronti di un’iniziativa sostanzialmente “a costo 0” per i comitati stessi e se vogliamo neutra, è stata pressoché ignorata e non letta nelle sue varie potenzialità: aggregare attorno a un’iniziativa divergente, rispetto alla specificità dell’attività agonistica (che sovente genera attriti interni e campanilismi di basso profilo); fare cultura indicando, magari attraverso una piccola pubblicazione, un modello, una best practice che abbia i requisiti della replicabilità e della trasferibilità.
Metodo, comunicazione, programmazione “a lungo termine”, rilevazione dei fabbisogni formativi, sostegno e cura, sono asset strategici nel lavoro con i giovani e nei progetti volti al monitoraggio, da parte della FISI, dei ragazzi delle categorie Giovani e Aspiranti (squadre Osservati). E sono anche asset strategici per lavorare a stretto contatto con la base, appunto, “stringendo ulteriormente le maglie della collaborazione con i comitati regionali, le società e i gruppi sportivi militari”, così come è la Federazione stessa a volere. Cfr. in riferimento alla composizione delle squadre Osservati per il 2021/2022 https://www.fisi.org/la-composizione/
3.
Come evidenziato in molti dei miei articoli, il vero nodo dell’intero sistema è quello tra formazione di base, contatto con la base, passaggio al professionismo e principi, regole, procedure che riguardano la gestione e il governo dell’interna struttura organizzativa, dagli sci club, ai gruppi sportivi, alla federazione.
Non tocco quest’ultimo aspetto, quello della governance, che solo rilevo; essendo, quella della formazione dei dirigenti sportivi e dei criteri di assegnazione delle cariche, una questione annosa nel nostro Paese, che, visto l’assetto istituzionale, è più politica che tecnica.
La formazione di base e quella che accompagna l’attività professionale del maestro, ma ancor più dell’allenatore, in specie se lavora con le categorie giovanili, è il vero anello debole della catena. Perché è da tale formazione che possiamo aspettarci quel cambiamento culturale, che è anche cambiamento di visione, prospettive, metodo.
Come possa essere erogata questa formazione e come possa essere sistematizzata, è un aspetto che non spetta a me risolvere; ma certamente, data l’esperienza personale sul campo e le relazioni almeno interlocutorie con molti sci club e comitati, non mi sembra una via percorribile quella di pensare che questi ultimi possano accogliere e promuovere attività formative strutturali.
Si potrebbe però pensare ad una riorganizzazione territoriale in qualche modo sovraordinata, non solo o non tanto per l’organizzazione e lo svolgimento dei corsi di aggiornamento riservati ai tecnici federali, ma per l’organizzazione di attività formative su questioni d’interesse, funzionali alle attività esercitate dai tecnici stessi.
Certamente questi organismi territoriali deputati ad attività di studio, ricerca, formazione, sarebbero coordinati e monitorati dalla Scuola Tecnici Federali alla quale, da ultimo, sono attribuite dalla Federazione competenze in ordine alla formazione (cfr. punto del 3 del Regolamento STF).
4.
Mi sembra dirimente, al di là del modo in cui s’intenderà riorganizzare la formazione per lo sviluppo delle professioni nello sci alpino, ricollocare in modo centrale e non marginale quelle attività formative ricomprese oggi nei “corsi di aggiornamento” (in larga misura frequentati per il mantenimento della qualifica e per la proroga di validità degli attestati di idoneità di allenatore) e nei convegni e seminari “su materie d’interesse” (cfr. Ivi).
Inoltre, dirimente, è rivedere il sistema delle attività agonistiche di base, almeno fino alle categorie Giovani e Aspiranti, permettendo quella logica di sviluppo dell’atleta “a lungo termine”, così come teorizzata nel SALT, al quale ho dedicato una serie di approfondimenti che il lettore potrà reperire online. V. al link https://educationaltutoring.wordpress.com/
Senza una revisione delle attività agonistiche di base, ma ancor più dei criteri di qualifica ad alcune competizioni e della definizione dei “gruppi di merito”, avremo un sistema incoerente, che da un lato posticipa l’Allenarsi a vincere a 20 e più anni e l’Allenarsi a competere tra i 16 e i 20 anni (SALT), dall’altro enfatizza il risultato cronometrico e quello pubblico.
Anche qui ho precisato, negli articoli sopra indicati, che il SALT è un modello orientativo, da non intendere in modo letterale, ma è comunque questa la dicotomia che molti allenatori, genitori, giovani atleti sottolineano; ho inoltre evidenziato come sia doveroso fornire, se possibile in modo coordinato, risposte differenziate e qualificate per i “grandi numeri” degli sci club (il SALT in questo senso è bene profilato), che vadano oltre l’attenzione ai singoli e l’esaltazione del talento. Cfr. https://educationaltutoring.wordpress.com/2021/09/20/lo-strappo-tra-attivita-agonistica-amatoriale-e-professionismo-nello-sci-alpino-elementi-per-ridefinire-una-continuita-formale-e-sostanziale-nelle-logiche-di-sistema/
5.
A questo punto: quale formazione per i tecnici, ma anche per l’alfabetizzazione dei giovani e per il passaggio al professionismo, orientata come?
Recentemente, un Istruttore Nazionale (ne ometto il nome per ragioni di riservatezza della persona), mi ha ricordato il significato e l’etimologia della parola “tecnica”, che per qualche ragione avevo dimenticato, riportando la mia attenzione su questo aspetto.
Per i greci, con téchne (τέχνη), generalmente tradotto con “arte”, s’intendeva la perizia nel saper fare, ossia la capacità pratica di operare per raggiungere un dato fine.
Essere un tecnico, quindi, piuttosto che altra figura professionale di supporto agli staff (mental coach o trainer educativo), equivale ad esprimere e a trasmettere un determinato sapere, avvalendosi di conoscenze, competenze, abilità, riconducibili alla dimensione creativa e dell’arte.
Trovo molto suggestiva questa definizione, che suggerisce che avere un modello tecnico di riferimento ed essere dei tecnici, non significa essere dei burocrati, o degli “uomini del sistema”, ma appunto aprire prospettive e vivere e comunicare idee, emozioni.
L’educazione di base, così come l’insegnamento e la formazione, hanno appunto la finalità di emozionare prima, poi di generare sentimenti che durino nel tempo e producano idee e valori: se l’emozione è momentanea e transitoria, il sentimento, per definizione, è qualche cosa di diverso e che appunto dura nel tempo.
Non basta, come formatori e tecnici, emozionare, essere protagonisti di un momento, ma appunto è importante “rallentare”: non parlarsi addosso, non dare nulla per scontato, ridefinire sempre e nuovamente quello che ci sembra ovvio, finanche banale e acquisito.
6.
In questo senso, ad esempio, un modello tecnico di riferimento, rischia di essere limitante e di imporre delle scelte metodologiche non attuali, sul piano educativo.
Ho avuto esperienze di formazione anche con federazioni di altre nazioni e l’approccio, in genere, è quello della progressione tecnica; ossia del passaggio da un’azione motoria “semplice” (che semplice non è!), ad una più articolata e complessa, passando per livelli intermedi.
Non entro nello specifico della proposta tecnica, perché non di mia competenza, ma voglio solamente sottolineare che un approccio di questo genere, elevato a modello (un modello è tale perché rappresentabile), induce una metodologia univoca e poco differenziata.
Come ogni teorizzazione, come ogni modello, quello della scuola italiana di sci ha quindi potenzialità e limite; ma qualora si evochi un metodo diverso (Roda e altri), va tenuto conto del fatto che una modalità d’insegnamento deduttiva, ossia attenta alla completezza delle informazioni e che muove da nozioni certe per ricavare dimostrazione e spiegare fenomeni, non contribuirà a formare atleti o professionisti dotati di senso critico, autonomia, creatività.
Viceversa, una metodologia “per prove ed errori”, ossia induttiva e che muove dall’esperienza sensibile o sensoriale, per arrivare ad una globalità che magari successivamente potremo scomporre e analizzare, fornisce quella serie di caratteristiche e abilità che fanno del tecnico, secondo l’accezione fornita, un “artista”.
Certamente avvalersi di una metodologia induttiva e favorire le autonomie della persona in apprendimento, a prescindere dal suo grado di perizia nell’esecuzione del gesto e dai suoi obiettivi, implica:
- l’acquisizione di un maggiore “rischio educativo” e quindi, per il tecnico, l’assunzione di responsabilità maggiori;
- tempi d’apprendimento diversi e tendenzialmente più lenti (apprendimento lento) che, favorendo l’introspezione, producono non solo emozioni, ma sentimenti, valori;
- l’utilizzo di canali d’intelligenza multipli e nulla affatto omogenei; ossia di reti semantiche “piatte”, flessibili, che permettono di mettere in contatto cose che all’inizio sembrano non avere senso, ma che, poco a poco, iniziano a prendere forma portando a soluzioni funzionali e innovative.
È in questo modo che possiamo puntare a riconoscere, sempre e nuovamente, margini di crescita in noi stessi e negli altri (principio di educabilità), ed è in questo modo che il concetto di “cambiamento” enunciato dal Presidente Roda cessa di essere nozione astratta, per diventare la componente empirica di un processo che riguarda tutti, quello educativo.
7.
Se condividiamo l’idea del tecnico come persona dotata di capacità educative e quindi in grado di dirigere le proprie scelte (si parla di “intenzionalità” dell’agire educativo), e se condividiamo l’idea del tecnico come professionista caratterizzato da flessibilità mentale e operativa (pensiero creativo o “divergente”), sono queste due aree ad essere il principale oggetto delle proposte formative.
Per cui, da un lato l’area pedagogico-educativa, che implica una revisione del “mentale” in questo senso, almeno per le categorie giovanili (alfabetizzazione e mental training), posticipando le attività di coaching e l’approccio prestativo; dall’altro le abilità trasversali, le c.d. soft skills, a partire dalle abilità strategiche: programmazione, progettazione educativa, definizione di obiettivi e metodo, temporizzazione delle azioni, ecc. Alle quali, pure, ho dedicato un articolo al quale rimando, titolato: Per una definizione delle “competenze distintive” dell’allenatore di sci alpino https://educationaltutoring.wordpress.com/2021/03/29/prospettive-per-una-definizione-delle-competenze-distintive-dellallenatore-di-sci-alpino/
Ponendo l’enfasi sul pensiero creativo non intendo dire che il pensiero logico e quello lineare non servono (si parla di reti semantiche “ripide” vs. reti semantiche “piatte”, v. sopra), ma che questa modalità è propria del pensiero divergente ed è complementare ad esso: si dà il caso che dopo aver trovato un’idea nuova grazie a un’intuizione, sia necessario un approccio convergente per svilupparla.
Il pensiero divergente può essere qualche cosa di più o meno connaturato ad ognuno di noi e può essere necessario, per chi ha invece un approccio logico alle cose, allenare la mente ad un pensiero più critico.
Caratterizzano il pensiero divergente:
- fluidità (produrre tante idee),
- elaborazione (selezionare e approfondire le idee che abbiamo creato),
- flessibilità (riuscire a passare da un’idea a un’altra e tra diverse associazioni semantiche),
- originalità (produrre non tanto qualche cosa di assolutamente originale e nuovo, ma associazioni innovative),
- valutazione (valutare quale delle idee o delle associazioni pensate, può avere maggiori possibilità di successo).
Sono queste le aree che dovremmo migliorare per sviluppare tale tipo di pensiero.
Vi sono sì delle tecniche (la sinettica, la tecnica Scamper e altre), ma ancora una volta, a fare la differenza, è la metodologia; che, come detto, sarà in prevalenza induttiva e si avvarrà di un approccio collaborativo, maieutico, fatto di domande e verbi d’azione.
Le parole chiave di una formazione o di un’azione educativa così concepita, fosse pure sul campo e in attività specifiche d’allenamento, sono (cfr. con B. Eberle): sostituire, combinare, adattare, anticipare, modificare, eliminare, riformulare e simili.
Un approccio di questo tipo può allenare la nostra mente e quella degli atleti a lavorare su diversi punti di vista, per creare una visione ampia su fatti, situazioni, difficoltà, che considerano ipotesi non necessariamente logiche e consequenziali!
La logica che guida il pensiero divergente è una logica coordinativa, copulativa, inclusiva (et et) e non disgiuntiva, escludente (aut aut).