Lo sci club, tra vocazione sociale e tensione agonistica

Lo sci club, tra vocazione sociale e tensione agonistica

Non tutto ciò che può essere contato conta;

non tutto quello che conta può essere contato.

La FISI (Federazione Italiana Sport Invernali) è stata fondata a Torino nel 1908, sotto forma – emblematicamente – di unione di sci club italiani.

La federazione, che contava inizialmente sull’adesione di tre club, assunse inizialmente il nome di Unione Ski Clubs Italiani (USCI) e solo nel 1933, quando le furono avocate competenze in discipline diverse da quelle sciistiche, assunse la denominazione definitiva.

Si capisci quindi, al di là del fatto che gli sci club costituiscono, numericamente, la base sociale della FISI, cosa rappresentino oggi per essa sul piano storico, identitario, ma anche istituzionale, politico.

Non dobbiamo dimenticare, infatti, che non sono solo le Federazioni Sportive Nazionali (FSN) ad intercettare il valore condiviso generato dal CONI (e con esse le Discipline Sportive Associate, gli Enti di Promozione Sportiva, le Associazioni Benemerite), ma tutte quelle Società e Associazioni sportive affiliate che svolgono un importante ruolo sociale e di aggregazione nei territori.

È evidente, quindi, che sia le FSN che le Società e Associazioni sportive non operano per se stesse, ma sulla base di un mandato al quale sono chiamate a rispondere, e che è sociale e istituzionale a un tempo.

È per questa stessa ragione che tutti noi, come tecnici o dirigenti, svolgiamo la nostra professione all’interno di queste organizzazioni non su base discrezionale, ma appunto sulla base di tale mandato.

Sono varie le ragione che inducono a ripensare l’insieme di questi ruoli, di queste funzioni, sia a livello federale che societario; ma la principale è di tipo storico ed è in relazione con le mutate condizioni sociali, culturali, economiche, alle quali, come organizzazioni tutte, siamo chiamate a rispondere.

Il principale mutamento è dato dal fatto che il modello di welfare attuale, dal quale dipende la sopravvivenza dello sport e delle infrastrutture sportive, non è più pensabile come welfare “per” la persona, ma “con” la persona.

Quindi un sistema di servizi non standardizzato, ma costruito insieme a chi dei servizi deve beneficiare: non più l’erogazione di un’offerta, bensì un faticoso, costante lavoro di dialogo, di scambio, di ridefinizione di priorità, pratiche, modelli.

È questa la ragione per la quale le FSN, così come le Società e le Associazioni sportive, non possono insistere nel perpetuare principi, regole, procedure gestionali e di governo piramidali, ma debbono appunto aprirsi a modelli di governance diversi, incentrati su partecipazione, democraticità, trasparenza.

Solo un’azione di questo genere può creare innovazione, consenso, ma soprattutto sostenibilità gestionale ed economica.

Attuare partecipazione, democraticità, trasparenza a livello organizzativo, sia come Federazione che come sci club, significa rinnovare:

  • proposte e pratiche a partire “dal basso” (azioni partecipate),
  • fonti economiche e di finanziamento (lavorare “per progetti” intercettando risorse pubbliche e private diverse da quelle interne),
  • sistemi di delega delle responsabilità e reti orizzontali,
  • logiche educative e formative attuate a partire dalla rilevazione di fabbisogni concreti e da strumenti di valutazione flessibili ma cogenti,
  • impatto sociale delle azioni proposte e misurazione di tale impatto (creazione di “valore condiviso”) ecc.

A fronte della scarsità crescente di risorse pubbliche e private per l’educazione e le politiche di welfare (è un problema annoso quello dei costi per l’agonismo giovanile e l’avviamento al professionismo nello sci), parlare di un avvicinamento del TS alla cultura aziendale del profit non appare più così contraddittorio.

Sottolineo in conclusione due aspetti che mi sembrano di particolare rilievo, rispetto alla tesi sostenuta; cioè che:

  1. il mondo degli sport invernali in genere e dello sci alpino in particolare è assimilabile a una “comunità di pratiche e di apprendimenti” (cioè a dire ad un gruppo sociale che produce conoscenza organizzata e di qualità alla quale ogni membro ha libero accesso), che però ad oggi funziona a scartamento ridotto, essendo ben lontana dall’esprimere il suo potenziale;
  2. che gli sci club, in quanto associazioni di Terzo Settore, sono imprese a spiccata vocazione sociale, dalle quali ci si attende, appunto, un ritorno di questa natura. Cioè a dire ci si attendono, anche sulla base di agevolazioni fiscali, impatti positivi sul sistema sociale che vadano al di là della loro attività prevalente di produzione di beni o servizi.

Le imprese a vocazione sociale sono importanti perché, a prescindere dalla loro tipologia strutturale e dalle loro attività specifiche, con il loro operato generano un beneficio indiretto per il territorio, rispondendo a quei bisogni sociali che né i servizi pubblici, né i semplici meccanismi di mercato riescono ad affrontare.

In questo senso andrebbe riconosciuto (e premiato!) l’impatto sociale di uno sci club e misurato tale impatto, in termini di differenza positiva che esso fa su un territorio, il valore aggiunto che intenzionalmente crea per la comunità in cui opera.

È “dal basso”, dalla base sociale e tecnica che vanno ripensati i modelli gestionali delle FSN e non “dall’alto”, onde evitare ridondanza e autoreferenzialità; pure spettando ai vertici istituzionali, al CONI e sopra di esso alla Giunta Nazionale, azioni di indirizzo, tutela, rappresentanza e controllo amministrativo.