di Enrico Clementi
Viviamo in un’epoca caratterizzata da un livello inedito di complessità: flussi di informazione accelerati, frammentazione del sapere, iper-razionalizzazione dei processi decisionali. In questo contesto, il pensiero complesso non è più un’opzione ma una necessità.
Tuttavia, accogliere la complessità non significa semplicemente sovraccaricarsi di dati o moltiplicare i punti di vista, ma sviluppare un’attitudine capace di sospendere il giudizio, di osservare prima di interpretare, di stare nel non sapere senza soccombere all’ansia della certezza. Qui, la pratica dell’epoché fenomenologica diventa uno strumento fondamentale, non solo filosofico ma operativo, capace di restituire una postura cognitiva più lucida e meno reattiva.
Epoché: sospendere per vedere
L’epoché fenomenologica, nella sua accezione husserliana, invita a sospendere l’opinione e i giudizi, le credenze implicite e le risposte reattive per lasciare emergere il fenomeno nella sua interezza. In un contesto di post-postmodernità, dove l’infodemia e il rumore cognitivo ostacolano la capacità di discernere, questa sospensione diventa non solo un esercizio filosofico, ma un atto pratico di resistenza. Significa sottrarsi alla compulsione interpretativa, a quella delle scelte, all’ossessione di collocare immediatamente ogni esperienza entro schemi noti, e aprire spazio a una percezione più nitida e autentica.
La non scelta: decisioni libere dalla paura
Sul piano pratico, la sospensione del giudizio si traduce nella pratica della “non scelta”, un concetto che si oppone all’idea di decisione come atto condizionato da paure personali o pressioni sociali. In una realtà complessa, molte decisioni vengono prese reattivamente, guidate da ansie di controllo o dalla necessità di conformarsi a dinamiche esterne. La “non scelta” non è inerzia, bensì l’attitudine a lasciar emergere la risposta più adeguata al contesto, senza forzarla in schemi precostituiti.
Anche il procrastinare una scelta, in questa chiave e nonostante la riprovazione delle psicologie, assume una connotazione diversa e positiva. Non si tratta di una fuga dall’azione, ma di un differimento consapevole che permette di lasciare sedimentare l’esperienza, riducendo l’influenza di emozioni reattive e condizionamenti esterni. In questo senso, l’attesa non è un ostacolo ma uno spazio di maturazione della comprensione, essenziale per scelte più lucide e meno vincolate a schemi predefiniti.
Un processo educativo o formativo basato sulla sospensione del giudizio, su una decantazione delle operazioni di scelta, permette di esplorare piuttosto che di riprodurre modalità già note o date. In ambito professionale e di vita, l’attesa favorisce soluzioni originali, emergenti dal contesto piuttosto che imposte da forme di volontà che rasentano l’ostinazione o da schemi personali rigidi.
Volontà e pensiero disgiuntivo: dall’aut aut, all’et et
Un approccio incentrato sulla volontà tende a irrigidirsi di fronte alla complessità, poiché presuppone un controllo sulle dinamiche che, in realtà, sfuggono a ogni dominio assoluto. La pretesa di determinare, di risolvere e di imporsi sul reale si scontra con l’instabilità dei sistemi e con la molteplicità di prospettive che caratterizza il nostro tempo e la vita psichica.
In questo senso, una riscoperta dell’apatheia nella sua accezione originaria – non come indifferenza passiva, ma come libertà dall’attaccamento emotivo e dalle reazioni impulsive – diventa essenziale. Questo atteggiamento “distante” non implica un ritiro dalla realtà, ma una posizione che consente di lasciar coesistere elementi contraddittori senza che questi generino conflitto, né all’interno della coscienza né nelle dinamiche interpersonali. La sospensione della volontà non è dunque un cedimento, ma una forma di lucidità che permette di attraversare la complessità senza rimanerne intrappolati.
Ogni scelta, appartenenza, posizione identitaria o morale è inevitabilmente condizionata e porta con sé contrasti, opposizioni, forme di esclusione. La volontà di definire e prendere posizione, rischia così di irrigidire il pensiero e di alimentare conflitti tanto interiori quanto esterni. Nel tempo della complessità, l’aut aut del pensiero razionale, con la sua esigenza di separare e contrapporre, necessita di correttivi che favoriscano una ricomposizione e una conciliazione degli opposti. Questo richiede un passaggio dallo schema della disgiunzione a quello dell’et et, un’apertura che consente di accogliere simultaneamente prospettive differenti, senza cedere all’ansia della coerenza immediata o alla semplificazione riduttiva.
Oltre la reattività, verso una lucidità operativa
L’epoché fenomenologica, intesa come attitudine e pratica, offre quindi una via per navigare la complessità senza esserne travolti. La sospensione del giudizio non è un rifiuto dell’azione, ma un modo per riappropriarsi della facoltà di agire senza restare prigionieri di reazioni automatiche o paure. La “non scelta” è in realtà la più alta forma di scelta: quella che non nasce dal panico dell’isolamento, dalla solitudine, dell’insuccesso, ma dalla comprensione più profonda delle dinamiche in atto.
Coltivare questa postura non significa sottrarsi alla responsabilità decisionale, ma esercitare un pensiero più limpido, meno condizionato e più aderente alla realtà così com’è, non come vorremmo che fosse.
In questa prospettiva, la sospensione del giudizio e la non scelta assumono il valore di un’ascesi laica, una pratica di attenzione e di ascolto che non ha il fine di raggiungere una meta predefinita, ma di affinare la capacità di stare nel reale con lucidità e apertura.
La formazione, intesa come cammino di conoscenza e di trasformazione, trova in questa postura contemplativa una chiave essenziale: imparare non significa accumulare, ma svuotarsi di sovrastrutture, osservare senza pregiudizi e lasciare emergere nuove possibilità di comprensione. In un mondo che spinge alla reazione immediata e all’azione, all’adesione, l’epoché fenomenologica diventa così una disciplina dell’essere, un’educazione alla presenza che prepara l’individuo a un rapporto diversamente orientato con la vita, con il suo divenire e con sé stesso.
[…] per attività di studio, formazione, consulenza educativa (self-empowerment) v. in Contatti
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