L’agonismo giovanile… da dove cominciare? Per un ripensamento del “progetto-sci-club”

L’agonismo giovanile… da dove cominciare? Per un ripensamento del “progetto-sci-club”

Ci sono, negli sport invernali in genere e nello sci alpino in particolare, una serie di convinzioni, consuetudini, atteggiamenti, che condizionano fortemente la sperimentazione, l’innovazione e la crescita del settore nel suo insieme.

Vivendo dall’interno le dinamiche che caratterizzano sci club, gruppi sportivi, comitati, mi domando come sia possibile, su larga scala, gestire in modo empirico una serie di aspetti quali:

  • dinamiche di gruppo e relazione tra obiettivi individuali e gruppali;
  • relazione tra crescita personale e risultato agonistico;
  • rapporto tra abilità trasversali e abilità specifiche del singolo atleta;
  • dinamiche interne agli staff tecnici e caratteristiche (funzionali o meno al lavoro sul singolo e sul gruppo) del singolo allenatore;
  • dinamiche di rapporto tra dirigenza, staff, atleti e famiglie;
  • formazione interna e che includa spazi e tempi dedicati alle famiglie, nei termini dell’esercizio di una “genitorialità consapevole” in ambiente agonistico ecc.

C’è un fenomeno diffuso che è quello della “migrazione” di atleti (e tecnici) da sci club a sci club, in larga parte dovuta a una gestione non programmata delle dinamiche e dei rapporti di cui sopra. Cosa che, evidentemente, è destinata al fallimento.

C’è inoltre una retorica che non aiuta lo scambio e la diffusione di buone pratiche educative nello sci alpino, ossia la convinzione – come leggo nello slogan di uno dei tanti sci club che dinamizzano il settore – che questo sia uno sport (sic) “manico, fegato e palle”!

Non metto in dubbio che lo sci alpino sia uno sport che richiede abilità tecniche, coraggio, determinazione, ma il rischio di una retorica di tal fatta è quello di ritenere, erroneamente, che non vi sia spazio per insicurezze e fragilità personali.

Ci occupiamo di agonismo, ma non tutti siamo competitivi. La notizia buona, tuttavia, è che tutti possiamo allenare la competitività.

Puntiamo alla prestazione, ma non tutti siamo continui, perseveranti, focalizzati allo stesso modo: ma la notizia buona, anche qui, è che possiamo allenare le abilità strategiche, la perseveranza, le abilità attentive e di focalizzazione, e altre ancora.

Sento dire da alcuni allenatori che quel tale ragazzo “ha motore” o “non ha motore”, oppure che l’atleta capace lo si vede già da come sta in coda prima di salire in pista.

Trovo fuorvianti queste affermazioni, poco aderenti al vero e francamente imbarazzanti, perché in qualche modo lesive nei confronti dei giovani a noi affidati in qualità di educatori: se non crediamo che in tutti e in ognuno degli atleti vi siano margini di educabilità (!), il nostro lavoro si vanifica e faremmo meglio a cambiare mestiere.

È questa la ragione fondamentale per la quale sento il dovere di contrastare, in modo deciso, una certa caratteristica di settore, ed è questa la ragione per la quale mi domando costantemente quali siano i presupposti educativi della disciplina.

Le attività medie di uno sci club sono quelle che tutti conosciamo: campo libero/addestramento, pali, video e analisi video, attività atletica e, sempre più diffusa, attività di mental coaching; intesa però, erroneamente, nei termini di un insieme di tecniche finalizzate all’ottimizzazione della performance.

L’aspetto educativo e quello partecipativo, così come intesi da Côté nel suo modello (Developmental Model of Sport Partecipation o DMSP), sono in questo modo disattesi e se è vero – come è vero – che ogni sci club o organizzazione sportiva si pone queste finalità, il discrimine è tra quanti vi lavorano in modo consapevole, e chi al contrario persegue queste finalità in modo empirico.

Dove per “consapevole” intendo una differenziazione delle attività che caratterizzano la vita organizzativa; quindi allocando risorse, reperendo professionalità, programmando e progettando attività specifiche rivolte a giovani atleti, genitori, staff tecnici e ancora svolgendo questa serie di attività in contesto, e non in ambienti formalizzati: quando dico “in contesto”, intendo dire in ambiente innevato, durante le trasferte estive, prima e dopo un allenamento o una gara stagionale ecc., e non nello studio di uno psicologo o in uno spazio “protetto”.

Infatti, le due dimensioni sono fondamentalmente diverse e il contesto, la dimensione ambientale, è l’elemento chiave della triade generalmente evocata (per il nostro che è uno sport “di situazione”) ma ampiamente disattesa, sul piani mentale: mente-corpo-ambiente.

Quali sono quindi, alla luce di quanto detto, le questioni fondamentali per l’attività agonistica giovanile? A partire dalla declinazione del “progetto-sci-club” in tempi, modi e attività complementari ma diverse. Provo a definirle:

  1. Mission e vision dell’organizzazione: sci club orientato alla performance vs. sci club orientato ad attività di rilevanza sociale (aggregazione, inclusione, promozione, salute ecc.). Sia nell’uno caso che nell’altro, assistiamo a derive che rischiano di far implodere lo sci club, inteso come progetto dinamico e in divenire.

Se è vero che lo sci club orientato al risultato, all’“eccellenza” e alla “promozione del talento” è poco più che un prodotto commerciale, dati i grandi numeri ai quali il sistema deve fornire risposte differenziate e qualificate, lo è altresì lo sci club che assume la sola mission educativa, disattendendo l’aspetto agonistico.

2. Alcuni ricercatori evidenziano che la natura conflittuale di alcuni obiettivi (v. sopra) non li rende perseguibili all’interno di un unico programma, e che questi obiettivi dovrebbero essere posti all’interno di programmi diversi. Cfr. https://enricoclementi.it/programmazione-e-attivita-negli-sci-club-un-cambiamento-di-paradigma-dalla-pratica-deliberata-al-gioco-deliberato/

Alcuni programmi sportivi (First Tee, Teaching Personal and Social Responsibility in sport programme e il programma SUPER) sono esplicitamente progettati per insegnare le c.d. life skills, dove gli atleti imparano elementi importanti per la loro crescita personale, relazionale e sociale, e viene loro esplicitamente insegnato come trasferire tali elementi ad altri contesti di vita.

Tuttavia, se lo sport è percepito come supporto allo sviluppo personale in altri ambiti, c’è il rischio di misconoscere il valore della pratica di uno sport in accezione agonistica e la nozione stessa di sviluppo “a lungo termine”, ripresa nel SALT dalla nostra Federazione (Long-Term Athlete Development, LTAD).

Un focus esclusivo del programma sportivo sullo sviluppo personale, per quanto apparentemente oculata, è una decisione adulta che non coincide necessariamente con la motivazione dei bambini a praticare sport.

3. La tendenza attuale degli sci club ad intensificare la pratica dell’allenamento a partire dal periodo estivo (complice la volontà di molti genitori), è fuorviante ed errata, almeno secondo alcuni dati scientifici.

Infatti pochi studi hanno mostrato che la c.d. “pratica deliberata” (10.000 ore o 10 anni di attività sistematica nello sport praticato) sia realmente un prerequisito per la prestazione sportiva esperta; al contrario, vari studi mostrano che la prestazione esperta negli sport, in cui generalmente la prestazione avviene dopo l’età di 20 anni, è stata raggiunta dopo 3000-4000 ore di allenamento specifico in quello sport (Côté, Abernethy 2012).

In altre parole, la diversificazione (invece della specializzazione) durante la prima fase di pratica sportiva ha un effetto positivo sulla pratica sportiva a lungo termine, ma anche sulla futura prestazione di élite (Côté et al. 2009). Cfr. ibid.

4. La convinzione di molti tecnici che le tematiche caratterizzanti una formazione di base in area mentale, siano ormai largamente praticate e diffuse, non coincide con la realtà dei fatti; dove, nelle categorie giovanili e nei progetti FISI il mentale è inteso in accezione prevalentemente prestativa, ed è  inoltre gestito in modo discrezionale: si utilizza lo psicologo dello sport, o il mental coach, quando emerge un problema dell’atleta non risolvibile dallo stesso o dall’allenatore.

Ma siamo qui “andati lunghi” in termini di gestione della problematica stessa, come pure abbiamo disatteso un ambito formativo (quello mentale) ritenuto in modo univoco imprescindibile per esprimere l’eccellenza.

Inoltre, come si diceva, un lavoro diffuso sul mentale in accezione ampia, nelle categorie giovanili e nei progetti della Federazione, sia in quelli rivolti ai giovani che ai tecnici e ai futuri tecnici, ha il vantaggio:

a) di differenziare, sul piano qualitativo, l’offerta interna dei servizi, accanto alle attività specifiche e alle altre consuete;

b) di favorire, attraverso opportunità di dialogo e di confronto strutturate, il circolo delle informazioni tra staff, atleti, famiglie, dirigenti, organizzazioni diverse;

c) di permettere agli stessi, attraverso figure professionali terze al mondo dello sci, di osservare fenomeni da prospettive diverse, ma anche di trovare necessari punti di convergenza sul piano educativo;

d) di istituire, sul piano programmatico, un management che finalmente preveda una “gestione del rischio” a favore dei vari portatori di interesse. Che, in altri termini, come si diceva in apertura, permetta di non subire gli accadimenti (modello empirico), ma sia in qualche modo in grado di prevederli ed elaborarli strategicamente.

Rientrano in tali accadimenti: dinamiche di gruppo disfunzionali (atleti, staff, atleti e allenatori, allenatori e famiglie ecc.); quelle che sopra abbiamo denominato defezioni o “migrazioni” di atleti o allenatori da organizzazione a organizzazione, alla ricerca di qualche cosa che di fatto non esiste in modo assoluto, ma solo per approssimazione (l’eccellenza); le dinamiche disfunzionali tra sci club e sci club, o tra sci club e comitati, o tra questi e la Federazione; la definizione di finalità e obiettivi impropri nello sci club, sia a livello personale che di gruppo, con conseguente frustrazione da parte di atleti, genitori, tecnici dirigenti; altri accadimenti che lascio al lettore, sulla scorta di questo modello e dell’esperienza personale, individuare.