di Enrico Clementi
Nel mondo dello sport – e in particolare nel sistema neve – si è da tempo esaurita l’idea che basti una buona gestione tecnico-organizzativa per garantire sviluppo, qualità e risultati. Le trasformazioni in atto sono profonde e investono il modo in cui le persone si rapportano alle istituzioni, il valore che danno all’esperienza sportiva, la relazione tra formazione, educazione e prestazione. La Federazione Italiana Sport Invernali (FISI), in questo scenario, ha davanti a sé una sfida cruciale: decidere se e come ripensare la propria funzione, il proprio assetto, il proprio modello culturale, le strutture che la compongono.
Non si tratta soltanto di migliorare l’efficienza del sistema, ma di interrogarne le logiche, a partire da una constatazione: oggi la FISI è solo uno dei soggetti attivi nel panorama degli sport invernali in genere e dello sci alpino in particolare. Accanto ad essa operano brand privati, circuiti alternativi, scuole sci, accademie, gruppi sportivi militari e civili, comitati, territori, famiglie, tecnici e/o libere professioni, atleti – tutti portatori di pratiche, saperi, risorse, bisogni, aspettative. In questo quadro, una federazione può mantenere un ruolo di regia solo se accetta di essere un attore tra gli altri, un “primo tra pari” (la FISI è di fatto un ente “non lucrativo” di diritto privato), che sa coordinare senza concentrare, guidare senza accentrare.
È a partire da questa visione che nasce la proposta di un modello “misto”, fondato sulla co-programmazione, la co-progettazione e la partecipazione plurale, in cui l’esperienza e la competenza di ciascun soggetto possano contribuire a un cambiamento condiviso. Abbiamo indicato spesso il mondo della neve come “una comunità di pratiche e di apprendimenti”, che impara a fare meglio qualche cosa attraverso lo scambio, il confronto, l’interazione sistematica, la prodizione di sapere partecipato, accessibile e strutturalmente dinamico, aperto.
Tre, a mio parere, sono gli snodi progettuali attorno a cui far convergere questo sforzo: un Centro Studi federale o un Osservatorio, una Consulta degli Stakeholder, con particolare attenzione alle famiglie di atleti U18, e un Hub di comunicazione e monitoraggio. A essi si associano in modo diretto alcune criticità strutturali, che vanno riconosciute ed evidenziate non come ostacoli, ma come punti di tensione generativa, da affrontare collettivamente nel tempo.
Centro Studi: un’infrastruttura culturale per leggere il sistema
Oggi la FISI – nonostante la mole di dati, prassi, esperienze, progettualità, risorse – non dispone di un luogo deputato alla raccolta, elaborazione e restituzione del sapere interno, capace di raccordare produzioni che transitano dai vertici alla base e dalla base ai vertici – ancorché il modello verticistico possa essere adeguato a questa struttura, che va ripensata in senso orizzontale e operativamente “per progetti”. Il sapere, dove c’è, è frammentato, affidato alla buona volontà dei singoli, o disperso tra iniziative scollegate. Manca una “memoria viva” del sistema (se non una certa enfasi su “quel che è stato”, o sull’emergere di alcune eccellenze), e ancor di più una capacità di apprendere da sé stesso. Questo produce confusione, ridondanza, incapacità di leggere ciò che accade, stagnazione, e soprattutto impossibilità di orientare le scelte future in modo coerente.
Il Centro Studi federale – anche in forma di Osservatorio, secondo una dicitura meno orientata alla generatività e più “neutra” – nasce per colmare questa lacuna. Non come struttura burocratica, ma come spazio culturale strategico, da cui ripartire per costruire visione, coerenza e senso di appartenenza. Uno spazio che interroga il sistema, lo ascolta, lo racconta e lo accompagna; avvalendosi eventualmente di risorse esterne (università, altri centri non solo sportivi, ma socio-educativi e a più valenza evolutiva, umana, ma anche tecnologica), ma non demandando all’esterno questa funzione, troppo carica di implicazioni.
Il Centro Studi dovrebbe, da subito, porsi il compito di osservare e documentare i principali nodi problematici del sistema:
- Il ruolo dei maestri di sci, che oggi riflettono a più livelli sul sistema formativo, sulle competenze distintive, sulle forme aggregative, sui modi di esprimere la professione, sui target, sulla collocazione nel “sistema di sistemi” che la Federazione solo in parte rappresenta;
- La sovrapposizione o confusione tra allenatore, tecnico, istruttore, con effetti ambigui sulla filiera della formazione e sul rapporto tra sport educativo e sport orientato all’eccellenza, ma anche con ricadute sul sistema di mercato e su un certo “clientelismo” politicamente scorretto;
- L’assenza di una politica attiva di ricambio generazionale dei tecnici, con conseguente carenza di profili innovativi e motivati, capaci di accompagnare nuovi modelli di apprendimento: necessitano azioni di coinvolgimento o engagement programmate, capaci di attrarre e motivare risorse interne e altre da formare nei vari ruoli e settori;
- La mancanza di documentazione, analisi e capitalizzazione delle pratiche sportive diffuse, nazionali e internazionali, con particolare riferimento alle categorie Children e Giovani, dove non è solo il carico di gare e aspettative a compromette la qualità dell’apprendimento, ma (v. sotto) la confusione tra sport di base e orientamento all’alto livello;
- Il deficit di differenziazione tra percorsi sportivi: oggi sport per tutti e orientamento all’alto livello condividono spazi, risorse, tempi, modalità e pratiche, senza che vi sia una progettazione intenzionale di questa osmosi: si passa dal sotto-investimento di alcuni club (curare la crescita globale di un giovane e fare educazione è altrettanto difficile che “specializzare” e richiede intelligenza, risorse, professionalità), all’eccesso opposto.
Il Centro Studi dovrebbe inoltre raccogliere e aggregare il sapere che già esiste nel sistema – nei club, nei territori, nei tecnici, nelle famiglie – e facilitarne la diffusione e la sintesi, anche – si diceva – in sinergia con università, enti di ricerca, fondazioni educative, non demandando le sue funzioni. È il primo passo per costruire una cultura del sapere sportivo “in ascolto” e democratica, aperta, generativa.
Consulta degli Stakeholder: riconoscere il ruolo delle famiglie
Le famiglie, in particolare quelle degli atleti in età giovanile, sono tra i principali attori del sistema sportivo, anche se raramente sono trattate come tali. Sono inoltre i “beneficiari intermedi” di un’offerta di servizi, sulla quale hanno – a diritto – un’ampia possibilità d’espressione. Sostenitori economici, affettivi, organizzativi – spesso anche tecnici – i genitori hanno un ruolo profondo nei percorsi sportivi dei figli, ma il sistema federale tende a relegarli a “uditori” o a “fattori di disturbo”. E loro stessi tendono a porsi in modo scoordinato, a volte scomposto, alternando forme d’approvazione quando le cose vanno per il verso giusto, a malcontento quando vedono violati, a torto o a ragione, i loro diritti o le loro aspettative.
Eppure, è proprio in questa fascia (U14–U18) che si concentrano molte delle tensioni più forti: pressione da risultato, investimento emotivo, selezioni opache, precarietà degli apprendimenti, abbandoni, transizioni difficili, infortuni precoci o eventi di maggior gravità. La Consulta degli Stakeholder è lo spazio dove queste dinamiche possono emergere, essere condivise, e restituite al sistema in forma costruttiva e dialogica.
All’interno della Consulta, si potrebbero affrontare temi come (porto solo qualche esempio):
- La confusione tra ruoli educativi e ruoli tecnici, con genitori-allenatori che assumono o a volte subiscono una doppia posizione;
- L’urgenza quindi di processi di delega più chiari, ma anche intelligenti, bene preparati, definiti, comunicati, monitorati, valutati;
- L’assenza di indicatori educativi che permettano di leggere e valutare lo sviluppo del giovane atleta oltre i risultati agonistici;
- Il bisogno di un patto educativo federale, che includa le famiglie come parte attiva della comunità sportiva;
- Le disuguaglianze di accesso e permanenza nel sistema, legate ai costi, alla logistica, alla selezione precoce, alle pari opportunità, alla creazione di fondi o all’individuazione di risorse.
La Consulta non è un organo burocratico, ma una piattaforma generativa di contenuti, proposte, osservazioni, che può aiutare la FISI a leggere meglio il presente e a progettare il futuro in modo partecipato, inclusivo; e in definita sostenibile, tutelante per essa stessa, come vedremo brevemente nella Conclusione.
Hub di Comunicazione: connettere voci, visioni e pratiche
La comunicazione, nel sistema federale, è spesso concepita come monodirezionale: un flusso dall’alto verso il basso, fatto di comunicati, regolamenti, annunci, dichiarazioni formali dal tono difensivo e che mostrano fragilità e incertezza. Ma oggi servono strumenti capaci di ascoltare, raccogliere, valorizzare le voci plurali che abitano lo sci alpino e gli sport invernali in genere. Serve un luogo in cui si possa parlare non solo della prestazione, ma dell’esperienza, del contesto, del percorso, dei processi interni, delle scelte anche infelici, perfettibili, ma necessitate.
Nessuno chiede a un ente così complesso come la FISI (potremmo dire un piccolo Coni) di non commettere errori, di avere soluzioni immediate e condivisibili per tutti, di tenere conto costantemente delle tante istanze, sensibilità, ma certamente possiamo fare meglio!
L’Hub di comunicazione e monitoraggio è pensato come un dispositivo aperto e reticolare, dove contenuti tecnici, esperienze locali, narrazioni, feedback, dati, pratiche formative e relazionali possano trovare spazio, eco, confronto. Un luogo digitale e umano dove si costruisce la memoria viva e la reputazione culturale del sistema neve.
Attraverso l’Hub, si potrebbero affrontare, in modo visibile e concertato:
- Le frammentazioni e le incomprensioni tra sci club, comitati, gruppi sportivi, che oggi agiscono spesso in modo competitivo anziché sinergico;
- Le contrazioni dei tempi e delle opportunità di crescita per gli atleti, strette tra selezioni, sovrapposizioni di ruoli, instabilità dei percorsi, restringimento della finestra temporale in una certa fase critica di sviluppo;
- La confusione tra federazione, territorio, privato, mercato, che genera sfiducia e scollamento, ma anche – come dicevo – “lotte intestine” tanto dispendiose, in termini di benessere, professionalità, risorse, quanto insensate: team privati e sci club, sci club e comitati, comitati e gruppi sportivi.
Ma soprattutto, l’Hub può raccontare le storie, i percorsi, le buone prassi, i fallimenti trasformativi, gli errori: tutto ciò che contribuisce a costruire una comunità sportiva matura, trasparente, distesa, capace di apprendere da sé stessa e da eventuali altri. “Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme con la mediazione del mondo” (Freire); e la pretesa del sistema – e degli uomini di sistema – di bastare a se stessi per attivare processi virtuosi di cambiamento, è tanto miope, quanto inefficace.
Conclusione: un’agenda implicita per il cambiamento
Questa proposta non pretende di essere esaustiva, né definitiva. Non risolve, ma apre spazi. Le tre aree progettuali – Centro Studi, Consulta, Hub – non sono contenitori astratti, ma luoghi concreti da cui ripensare radicalmente il modo in cui la FISI esiste nel sistema sportivo.
In ciascuna di esse si condensano le criticità attuali – ma anche le tante acquisizioni e le conoscenze depositate – e le possibilità future: l’opacità dei ruoli, l’assenza di documentazione, la generatività culturale (la cultura di un sistema non è pensabile come qualche cosa di dato, di acquisito, di stabile), la frammentazione territoriale, le frizioni tra parti del sistema, la mancanza di indicatori educativi, il deficit di partecipazione, la debolezza della cultura organizzativa, l’engagement delle risorse professionali, la formazione permanente, l’evoluzione delle professioni della neve, delle forme e formule aggregative, ecc.. Prenderle in carico non significa “aggiustare il sistema”, ma fare del sistema un organismo che apprende, che riflette su sé stesso, che evolve insieme a chi lo abita e a chi lo abiterà domani.
La federazione del futuro non sarà quella che avrà più potere, ma quella che saprà mettere in rete le intelligenze, ascoltare le voci, coordinare le energie, raccontare i processi. Solo così potrà restare centrale, autorevole, riconosciuta.
Dicevamo che la FISI è “prima tra pari” in un mercato sostanzialmente libero, aperto, dove ogni arroccamento anche professionale è improprio, perché altre realtà e altri modelli spingono dall’interno e dall’esterno occupando spazi e drenando risorse.
Nel contesto odierno, dove si afferma una logica sempre più ibrida tra pubblico, privato e sociale, il baricentro si sposta facilmente verso chi detiene visibilità, altre forme di esperienza, capacità locutorie e organizzativa. E questo spesso sono:
- i grandi sponsor e brand privati, che offrono servizi paralleli (camp, academy, scouting, formazione) con mezzi propri e logiche di marketing;
- i territori e le realtà locali, ma anche progettualità vicarie che operano con altri portatori d’interesse (ad esempio le federazioni di piccoli stati) e generano indotti e circuiti alternativi, che possono attivare reti educative, formative e agonistiche autonome;
- gli stessi utenti, più consapevoli e capaci di scegliere o pretendere servizi diversi (specialmente in fasce come l’U14-U18 dove le famiglie investono molto in percorsi individualizzati).
In modelli più spinti (come accade in USA o in alcune discipline individuali internazionali), sono i brand a dettare le regole del gioco: dalla selezione degli atleti, alla formazione dei tecnici, fino all’organizzazione di eventi e circuiti indipendenti dalle federazioni. Anche in Italia abbiamo già progettualità che vanno in questa direzione, e con le quali la FISI, per ragioni che andrebbero comprese meglio, non ha portato a buon esito processi di interlocuzione, mediazione, possibile convergenza d’interessi, di arricchimento culturale e accordo.
Per questo una FISI che si rinnova in chiave partecipativa e sistemica può preservare la propria funzione di regia, restando un attore autorevole e coesivo nel panorama. In caso contrario, il rischio è quello di diventare un centro di potere e controllo percepito come burocratico, autoreferenziale o superato — e quindi marginale.
[…] per attività formative, di consulenza, di coaching prestativo, v. alla pagina Contatti
Nota Alcune delle progettualità abbozzate nell’articolo hanno la loro base sistemica e concettuale nel mio Lo sci alpino, tra vocazione educativa e tensione agonistica. Argomenti, studi, questioni sullo sci alpino nel tempo della complessità (BMS, Roma 2023)