La FISI al bivio: tra dinamiche di controllo e sviluppo comunitario

La FISI al bivio: tra dinamiche di controllo e sviluppo comunitario

In un precedente articolo, titolato ll “capitale sociale” in ambiente FISI.
Appartenenza, identità e relazione come volano di cambiamento e azione
https://www.scimagazine.it/il-capitale-sociale-in-ambiente-fisi/ abbiamo indicato l’ambiente sciistico come un ambiente comunitario, che ha l’obiettivo di produrre conoscenza organizzata e di qualità, alla quale ogni membro ha libero accesso.

In questo ambiente, gli individui mirano a un apprendimento continuo, attraverso la consapevolezza delle proprie conoscenze e di quelle degli altri.

La tesi di fondo è che il passaggio da una visione individuale ad azioni di sistema, passa da una rilettura comunitaria del settore stesso; dove a giovarne saranno, oltre all’innovazione di teorie e modelli, il circolo delle informazioni, la cooperazione organizzativa, la partecipazione, la crescita e il benessere personali, la democraticità.

Ora, c’è una notizia che circola senza però ottenere conferme o verifiche ufficiali, secondo la quale gli atleti non potrebbero ricevere, e quindi inviare ad altri,  i video delle riprese giornaliere.

Anche dalle squadre nazionali alcuni atleti riferiscono di un “diktat”  secondo il quale sarebbe proibito inoltrare video d’allenamento ai loro referenti o consulenti esterni, onde evitare intromissioni.

Non sappiamo se questo corrisponda al vero e quanto il fenomeno sia esteso agli atleti delle categorie giovanili, ma riteniamo che se così fosse sarebbe una decisione quanto meno discutibile, per una serie di ragioni che andremo a precisare.

  1. Motivi giuridici.

Su questi motivi, che sono i più difficili da considerare, non ci addentreremo, pur avendo fatto una serie di ricerche e avendo ascoltato il parere di soggetti qualificati, interni ed esterni alla Federazione; proprio per capire bene la legittimità giuridica di un’eventuale limitazione nella diffusione dei video d’allenamento.

Non ci sembra di avere individuato, ad oggi, tranne che per i “diritti di sfruttamento commerciale” (cfr. punti 5 e 6 del Regolamento Squadre Nazionali), una norma federale che disciplini questo aspetto; ferma restando la convinzione degli scriventi che, seppure presente o approntata in futuro, tale norma andrebbe a limitare l’evoluzione della disciplina e l’aspetto “comunitario”, nell’accezione anzidetta.

A rigore di logica all’atleta non può essere negata l’acquisizione dei video dall’allenamento e l’utilizzo dei medesimi a fini non commerciali, ma di analisi ed evoluzione tecnica personale; anche se – va detto – essendo un atleta all’interno di una squadra nazionale, o d’interesse nazionale, egli ha in qualche modo il dovere di chiedere se quel video che lo ritrae possa essere mostrato a terzi: riconosciamo che è questo un agreement che un’atleta che rispetti l’ambito nel quale si trova, deve in qualche modo verificare nella situazione specifica.

2. Motivi culturali

Su questi ci siamo già espressi – indicando l’ambito federale come una comunità di pratiche e di apprendimenti – e riteniamo che:

  • la FISI abbia il dovere istituzionale di far crescere la propria base, e ad essere disciplinata dovrebbe essere la circolazione dei video o dei criteri d’allenamento, come pure le metodologie, gli indirizzi, gli obiettivi. Le tendenze attuali, ma anche il cambiamento di alcune logiche di aggregazione (assistiamo ad esempio al nascere di pool attorno a brand, come nella F1), richiedono apertura e un lavoro a team aperti.
  • Il confronto è da considerarsi sempre positivo, soprattutto se avviene con persone che conoscono a fondo gli atleti per averli allenati, preparati o seguiti sul piano della crescita personale. Senza confronto e integrazione delle competenze professionali, si rischia di impostare una programmazione incompleta, che non tiene conto di tutte le informazioni necessarie.
  • Davvero si crede che all’interno degli attuali staff ci siano tutte le competenze, tali da soddisfare completamente le esigenze di un atleta? Crediamo che questa sia una pretesa insostenibile, essendo il nostro non un giudizio, ma una considerazione.

3. Motivi psicologici

Un’azione di chiusura così prospettata nasconderebbe insicurezza, e questo sentimento andrebbe a riversarsi, seppure in modo irriflesso, su allenatori e atleti; che da un lato vedrebbero inibito il loro potenziale espressivo, creativo, comunicativo, dall’altro non potrebbero nutrire piena fiducia in una dirigenza che cerca, mediante la leva del controllo, di nascondere la propria fragilità.

La “mania del controllo”, a livello personale e organizzativo, è un bisogno malsano e nella maggior parte dei casi irrealistico – perché volto a controllare l’incontrollabile – che genera ansia diffusa, malcontento, e produce in chi la agisce pensieri persecutori e ostracismo.

Ansia, dubbio, controllo, calo dell’ansia e di nuovo ansia, dubbio, controllo… in una gabbia che genera sollievo momentaneo, ma che crea sofferenza, relazioni distorte e da ultimo, nei contesti professionali, non appartenenza e improduttività.

4. Motivi di attualità

Se dovessimo pensare che un atleta che vuole confrontarsi con una persona di sua fiducia non trovi comunque il modo per farlo, sottovaluteremmo la sua capacità di autodeterminarsi, di assumersi delle responsabilità, come quella delle famiglie; famiglie che, come accade in molti casi, hanno ormai un ruolo di primo piano nella formazione dell’atleta, o del giovane atleta, che include scelte strategiche e integrazione delle risorse.

Tra motivi giuridici e di attualità indichiamo, da ultimo, il fatto che nella maggior parte dei casi i video realizzati non sono prodotti professionali; nel senso che – rispetto ad altre nazioni (ad esempio la Svizzera) – le tecnologie utilizzate sono elementari e non prevedono l’integrazione, la comparazione o l’interpretazione di dati. In questo senso, ci sembra improprio immaginare l’esistenza di tutele intellettuali o di diritti dell’operatore.

Concludiamo dicendo che ferma restando la difficoltà di inibire la diffusione di video d’allenamento per via istituzionale (sarebbe a questo punto la Federazione a dover indagare e dimostrare che ciò sia avvenuto!) auspichiamo che queste note possano favorire una riflessione ampia tra i portatori d’interesse, costruttiva, e scelte federali coerenti con i princìpi di integrazione, appartenenza, rispetto, che lo sport promuove.

Enrico Clementi, Claudio Ravetto