Educazione, educatori e politica: dal problema alla persona

[…] non esistono “prassi neutrali” e ancora a monte  di qualsiasi azione educativa possiamo trovare una particolare antropologia, una concezione dell’uomo dalla quale discende una certa ipotesi d’intervento – Stefano Gheno

Nei vari ambiti dell’educazione, dalla scuola alla famiglia, dalla cittadinanza attiva alle forme di disagio sociale, dagli ambienti organizzativi al lavoro, si è parlato spesso della dimensione politica dell’educazione: è questo il fulcro del nostro ragionamento.

Paulo Freire, pur se in un ambito culturale diverso, ha sottolineato in modo efficace questo aspetto, descrivendo l’educazione come un processo politico e pedagogico. Ciò significa – egli scrive – che è sostantivamente politico, e oggettivamente pedagogico.

Politica, nell’accezione odierna, ha a che fare con potere e controllo; vale a dire con la misura in cui le persone desiderano e cercano di ottenere, possedere, condividere o cedere il potere e il controllo sugli altri e/o su di sé. (Cfr. Carl R. Rogers, Potere personale. La forza interiore e il suo aspetto rivoluzionario, Astrolabio, 1978).

Nell’azione educativa, in specie se mediata da soggetti pubblici o privati demandati ad azioni di gestione, valutazione, controllo, si esercitano relazioni di potere che hanno conseguenze dirette nello sviluppo delle risorse umane, o nella loro inibizione.

Qualsiasi attività a valenza educativa o formativa, come azione culturale e politica, contribuisce a creare un determinato status culturale, un modo di pensare e agire i contesti sociali, le relazioni, un indirizzo intellettuale e morale, che premono per imporsi.

Ripensare le attività educative in contesti diversi da quelli usuali, significa quindi – con Rogers – puntare ad una maggiore indipendenza e integrazione degli individui, piuttosto che alla speranza di ottenere tali risultati con l’aiuto offerto dal consultore per la soluzione del problema.

Punto focale è l’individuo, non il problema. Lo scopo non è quello di risolvere un problema particolare, ma di aiutare l’individuo a crescere perché possa affrontare sia il problema attuale sia quelli successivi in maniera più integrata. (Ivi)

Dimensione politica ed educazione, e luoghi del conoscere, del fare esperienza di sé (!), sono quindi fattori che dipendono l’uno dall’altro; nei quali il processo educativo è fattore dinamico, attivo, creatore e costruttore di soggetti capaci di generare condizioni di possibilità per andare avanti.

Varie scuole valorizzano il potere personale (self empowerment) come volano di cambiamento individuale, gruppale e sociale, nella certezza che l’essere umano: sia un organismo fondamentalmente degno di fiducia, con risorse che esuberano i nostri strumenti di lettura; sia capace di operare valutazioni proprie in termini di risorse, opportunità; sia in grado di comprendere se stesso nei propri contenuti (Rogers) e di fare scelte in qualche modo essenziali, anche se al di fuori della nostra portata logica.

In modo molto realistico, un approccio centrato sulla persona e svincolato da logiche istituzionali, non necessariamente conferisce potere alla persona, ma ha il pregio di non toglierglielo – chiunque abbia fatto esperienza di un contesto educativo, sa bene che le cose non stanno esattamente in questo modo, e sovente le “regole del gioco” non sono affatto chiare per l’utente, o il cliente, o il discente.

È per questo che l’educazione e il suo ruolo sono molto di più che insegnamento, apprendimento, sistema di regole, rapporti istituzionali, gerarchie organizzative e simili. Ed è per questo che lo sfondo etico, politico, pedagogico delle varie iniziative, mira – come nel presente caso – alla costruzione di un paradigma educativo diverso da quello dominante.

Inoltre, l’apprendimento è un processo attivo, in quanto accediamo a nuove informazioni sviluppando processi di identificazione, associazione, simbolizzazione, generalizzazione, accettazione, negazione, mediazione di significati.

È per questo che a partire dall’educazione concepiamo l’apprendimento come un compito sostanzialmente creativo, nel quale si costruiscono e ricostruiscono conoscenze; ma nel quale, allo stesso modo, ci strutturiamo e ristrutturiamo come persone, come soggetti capaci di pensare, sentire, fare, trasformare.

Generare condizioni per l’apprendimento critico, in qualsiasi contesto educativo o formativo, presuppone un ruolo di impegno integrale da parte di chi fa educazione, nel riconoscere che non si posseggono le risposte a tutte le domande, e nello stimolare il senso critico di ricerca, di inquietudine, di non-conformismo o anti-conformismo.

Come scrive Freire: Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo e gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo.

È da queste premesse che il ruolo dell’educatore, entro e al di là dei modelli professionali acclarati, viene concepito più come quello di un “provocatore”, piuttosto che come quello di un mediatore di contenuti, o di un facilitatore.

Pensare in termini di “provocazione”, presuppone il posizionamento come attori del processo; cioè come soggetti attivi e impegnati con le persone con le quali lavoriamo, con il loro contesto, con quegli assetti sociali, culturali, istituzionali che sembrano irremovibili, con i dubbi e le alternative possibili.

La sola presenza di un’ipotesi, di un progetto o di uno spazio educativo che voglia uscire dalla norma ed essere diverso, è già di per sé un dubbio e una possibilità, una speranza e una sfida.

Enrico Clementi https://www.linkedin.com/in/enrico-clementi-5225b261/

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