Dire “semplice”, non equivale a dire “facile”: la comunicazione del mentale nello sci alpino

Dire “semplice”, non equivale a dire “facile”: la comunicazione del mentale nello sci alpino

Mi domando continuamente come la componente mentale, possa essere riletta da un prospettiva più prossima a quella dell’allenatore di sci alpino, fornendogli, a seconda dei casi, supporto in pista o strumenti operativi per “risolvere problemi” o potenziare risorse.

Il vero nodo che incontro – e sono certo che non è solamente un mio nodo, ma lo è anche, ad oggi, per tutti i professionisti del mentale che si sono confrontati con esso – è questo: dalla mia prospettiva, tutto quello che scrivo, o comunque la maggior parte delle cose che scrivo, sono assolutamente pratiche; fermo restando il compito, che però spetta all’allenatore, di tradurle in senso operativo.

Sottolineo che non voglio sottrarmi al compito e anzi lavorerò ancora in questa direzione, cercando di capire meglio come pensa un allenatore; che, con l’atleta, oltre agli aspetti tecnici, deve costantemente incidere su atteggiamenti che facilitano o meno nuovi apprendimenti, l’esecuzione del gesto, il risultato di gara.

È esperienza frequente quella di essere interpellato su alcune difficoltà dagli allenatori, dando risposte a mio avviso molto concrete e che dovrebbero permettere di osservare i fenomeni da prospettive diverse, ma sentire gli stessi riprendere o continuare a sviluppare la propria linea di ragionamento.

Non escludo che possa essere il mio linguaggio ad essere poco efficace, o le mie argomentazioni o proposte ad essere insufficienti per allenatori o staff, ma credo corretto concedere a me stesso il beneficio del dubbio.

Detto questo, intendo domandarmi, ancora a monte, cosa siano “concretezza”, “semplicità” e chi determina – diciamo così – la soglia di fruibilità delle nostre parole, dei ragionamenti, dei costrutti che utilizziamo.

Ricordo che, in senso molto generale, un “costrutto” è un termine che viene attribuito a un fenomeno, che pur non avendo una realtà empirica, si costituisce come oggetto di studio – ho sviluppato altrove un ragionamento attorno alla “teoria dei costrutti” e ad esso rimando https://enricoclementi.it/come-ci-raccontiamo-e-raccontiamo-le-cose-ripensare-la-teoria-dei-costrutti/

Si capirà bene che tutto il linguaggio relativamente al mentale nello sci alpino, è fatto di costrutti e quindi, almeno logicamente, è impossibile essere “concreti” – proprio perché l’adozione di costrutti è conseguente allo studio di fenomeni che non sono tangibili (come un tavolo, una sedia), se non negli effetti.

Forse la distorsione è dovuta al fatto che molti intendono il mentale nello sci alpino come caratterizzato da tecniche che dovrebbero permettere all’atleta di “gestire” qualche cosa: ansia, stress, esperienze negative, infortuni o altro.

Questa è una piccola parte del mentale e forse, almeno dal mio punto di vista, quella meno rilevante, ancorché la più nota e diffusa.

Lavorare sul mentale con l’atleta, viceversa, significa proprio farsi carico di quell’insieme di fattori se non intangibili, tangibili negli effetti, che genericamente indichiamo come “personalità”: è più conveniente, al fine di una certa stabilità dei risultati raggiunti, lavorare sulle caratteristiche della persona-atleta, che non sull’acquisizione di tecniche.

Ma torniamo al discorso sulla semplicità e concretezza delle proposte operative, ponendoci ulteriori domande.

Abbiamo tutti bisogno di proposte semplici? Percepiamo tutti allo stesso modo la semplicità, la concretezza? È per tutti noi evolutivo, produttivo, avvalerci di un linguaggio e di proposte che abbiano il requisito della semplicità?

Condivido che ricercare la semplicità non solo verbale, ma anche pratica con i piccoli, e la concretezza con l’atleta evoluto (soluzioni rapide), siano orientamenti corretti.

Le mie sono chiaramente delle domande retoriche, perché credo sia evidente che questo discorso sulla semplicità non è generalizzabile e anzi, per alcuni, a seconda del background personale (familiare, di studi ecc.), può essere addirittura fuorviante, controproducente.

È concreto il non astratto, quello che produce, sul piano mentale e delle idee, delle rappresentazioni di senso in qualche modo percorribili dalla persona in apprendimento e al bisogno modificabili.

Ma, ripeto, ciò che produce in me questi effetti, il linguaggio che suggestiona la mia immaginazione e attiva le mie risorse mentali, non ha le stesse caratteristiche di quello che produce effetti analoghi nel mio dirimpettaio, che fa il macellaio (e viceversa).

Allora, le mie proposte, le cose che scrivo, gli input che cerco di fornire al settore al quale mi rivolgo, sono astratti o concreti? Teorici o pratici? Facili o complessi?

Certamente quello che scrivo non è proprio “alla portata”, di immediata comprensione, facile. Ma su questo punto dovremmo interrogarci sul livello medio della comunicazione oggi, che forse ci ha abituati a un grado d’impegno minimo, essendo però minime le conoscenze acquisite.

Anche lo sci alpino non fa eccezione e mediamente, quello che leggiamo o ascoltiamo via social, è debole negli effetti, povero di contenuti.

Ormai diversi anni addietro mi colpì un articolo di Marco Lodoli (scrittore, giornalista ma soprattutto insegnante), reperibile online e titolato “I miei ragazzi insidiati dal demone della facilità”, dove metteva l’accento sul fatto che facilità e semplicità non sono sinonimi.

Facile è, come dice la parola stessa, qualcosa che può essere fatto (dal lat. faclis, der. di facere, fare); facile è fattibile: qualcosa che un agente esterno può portare a compimento, può fare, e lì si ferma.

Semplice, invece, è un concetto filosofico. Semplice è ciò che dal complesso viene tradotto nell’essenziale e che richiede tempo, impegno, fatica.

Considerando solo il punto di arrivo, i due termini si direbbero equivalenti. Ma se facile è l’effetto di una serie lineare di azioni concrete e successive, semplice lo è di un intreccio che risulta da movimenti complessi e capaci di utilizzare fonti apparentemente caotiche, per condurle a un ordine.

I miei articoli non sono facili, la facilità l’ordine lo conosce già o vi aderisce meccanicamente (dire quello che tutti o molti dicono, sul mentale, equivale a non dire nulla!), ma semplici, nell’accezione anzidetta: la semplicità cerca l’ordine, semmai lo scopre, giungendovi per vie sconnesse, incerte e a tratti scomode da percorrere… sia per me, che per il lettore.