Molto prima di diventare l’oggetto della psicologia quale scienza sperimentale, lo studio della mente e del comportamento era una prerogativa della filosofia.
La nascita della psicologia scientifica ha portato a una separazione di queste discipline e allo sviluppo di due tradizioni di ricerca diverse sul mentale e spesso non comunicanti, l’una prevalentemente teorica, l’altra prettamente empirica.
La nascita delle cosiddette “scienze cognitive” pone in qualche modo rimedio a questo allontanamento, ricongiungendo psicologia e filosofia all’interno di un progetto di studio interdisciplinare, il cui obiettivo è lo sviluppo di una comprensione scientificamente fondata dei fenomeni mentali nella loro complessità.
Con “filosofia della psicologia” e con “epistemologia delle scienze cognitive” si fa riferimento alle correnti filosofiche che si sono affermate all’interno del progetto cognitivo.
Si tratta di tradizioni di ricerca molto ampie, varie e articolate al loro interno che ricomprendono approcci e tematiche che spaziano dall’analisi dei metodi, degli strumenti e dei modelli adottati dalla psicologia e dalle altre discipline cognitive, allo studio delle conseguenze (epistemologiche, sociali, etiche ecc.) delle teorie proposte in seno alle scienze cognitive.
I° passaggio
In senso molto generale un “costrutto” è un elemento linguistico che presenta una struttura e un ordine più o meno saldi e funzionali.
In accezione logica, invece, il “costrutto” è una deduzione derivata da uno o più principi e che esula da ogni caratteristica direttamente osservabile e s’impone, appunto, sulla base di principi o ipotesi generali.
In pedagogia un “costrutto” è il termine che viene attribuito a un fenomeno che, analogamente, pur non avendo una realtà empirica, si costituisce come oggetto di studio.
Un costrutto serve quindi a comunicare, a manipolare e conoscere un fenomeno, altrimenti difficilmente definibile e quantificabile.
Come evidente la maggior parte delle categorie che utilizziamo per intenderci e per veicolare dei contenuti riguardanti il “mentale” sono dei costrutti, ossia delle approssimazioni più o meno attendibile al fenomeno che intenderemmo descrive.
II° passaggio
Come accade il tutte le discipline che abbiano una pretesa di scientificità, anche in educazione si sono generate una serie di conoscenze e “approssimazioni” (nell’accezione anzidetta) che hanno il fine di descrivere e comprendere la nostra relazione con noi stessi, l’altro da noi, il contesto.
Si tratta spesso di una conoscenza astratta di oggetti che costituiscono la grande parte della conoscenza sul “mentale”, sia in accezione psicologica (la psicologia non sfugge a questa “approssimazione”), che specialistica o colloquiale.
Ecco perché, per legittimare se stesse come pratiche che cercano sia di generare conoscenza, che di amministrare ciò su cui generano conoscenza (perché scienze), l’educazione e la psicologia hanno dovuto creare una serie di concetti che rendono la realtà da esse studiata intelligibile.
In altre parole, come molti degli oggetti di studio della psicopedagogia non sono elementi empirici, cioè concreti, materiali, visibili (come ad esempio l’intelligenza, la coscienza, la personalità, ecc.), le scienze umane hanno dovuto generare una serie di concetti che possono rappresentare ciò che studiano.
Questi concetti sono appunto noti come “costrutti” e sono entità che rimandano a contenuti non tangibili (se non negli effetti), ma che in ogni modo si cerca di studiare per soddisfare bisogni sociali di varia natura: l’aspetto prestativo e il miglioramento delle prestazioni è uno di questi.
III° passaggio
Negli anni ’70, nell’ambito delle scienze sociali, si iniziò a discutere del le origini e degli effetti della conoscenza scientifica; che, come ormai evidente, è il prodotto, assolutamente parziale e provvisorio, di un tempo e di un luogo specifici.
Come direbbero Berger e Luckmann (1979), i sistemi di credenze – quali essi siano – sono il prodotto di una costruzione sociale .
Questo disamina storica ha anche generato un dibattito sulla validità dei costrutti che la psicologia, a partire dalla filosofia, hanno generato nel quadro dello sviluppo scientifico.
In effetti, gran parte della ricerca in educazione si è concentrata sulla convalida di costrutti di matrice psicologica.
Ciò significa che, attraverso una serie di studi in qualche modo supplementari (come il presente), si cerca di indagare strumenti, parametri, criteri, capaci di generare teorie o modelli affidabili, su fenomeni da ultimo osservabili solo negli effetti: atteggiamenti, comportamenti, capacità prestative, caratteristiche di personalità e simili.
Un esempio molto evidente prodotto da questo tentativo di oggettivare qualche cosa di astratto, è il tentativo di misurare risposte diverse, in relazione a tempi di reazione pure diversi: risposte e tempi che, comunemente, vengono lette e rese per il tramite di un costrutto quale il QI o “Quoziente Intellettivo”.
IV° passaggio
Lo psicologo americano George A. Kelly (1905-1966) sviluppò una teoria chiamata Theory of Personal Construct.
Attraverso questa teoria, Kelly propose che i costrutti potessero avere “effetti terapeutici”; o, mitigando la prospettiva, una “valenza terapeutica”, ossia d’aiuto, di supporto alla persona.
Secondo Kelly, i termini che usiamo per riferirci alle cose, o a noi stessi, riflettono il modo in cui percepiamo quelle cose.
A partire da questo assunto, quello che Kelly ha detto è che le parole con cui interpretiamo un fenomeno, non necessariamente descrivono quel fenomeno, ma piuttosto riflettono le nostre percezioni su di esso.
Kelly riteneva che fosse possibile “ricostruire”, cioè utilizzare nuovi costrutti per riferirsi allo stesso fenomeno e in questo modo generare e condividere nuove possibilità di azione.
Egli consigliava di pensarci come se fossimo noi tutti degli scienziati, ovvero degli ideatori, dei costruttori di concetti che ci permettono di relazionarci in un modo o nell’altro al mondo e l’uno all’altro; come se potessimo formulare diverse teorie in modo permanente e potessimo al contempo, in modo empirico, metterle alla prova.
È evidente il valore pedagogico di questa prospettiva, che ha il fine di permettere al soggetto di modificare ciò che percepisce come problema in “qualche cosa di diverso” (in un costrutto diverso), ossia in una “risorsa”.
È in questo modo che Kelly ha sfidato l’oggettivismo scientifico e l’idea di “realtà oggettiva”; proponendo che, più delle realtà oggettive, c’è un insieme di credenze e finzioni con le quali, se necessario, possono essere generate nuove credenze e nuove finzioni.
Questa modificazione nel modo di produrre conoscenza è importante, perché implica un cambiamento qualitativo nel sistema di relazioni nel quale la persona si colloca o si sente compresa.
Quindi, ciò che recupera Kelly sono i “significati personali” e lungi dal cercare di omogeneizzarli – è questo il limite che vedo nel tentativo di modellizzare il “mentale” – li decostruisce, aprendo alla possibilità di vedere in essi elementi di cambiamento e trasformazione.